Sara Minciaroni
E' stata definita l'inchiesta delle “protesi d'oro” e se le ipotesi della procura di Perugia, firmate dai sostituti Mario Formisano e Paolo Abbritti, venissero confermate, per i 13 indagati sarebbero davvero guai grossi. Il 415 bis (avviso di conclusione delle indagini) è stato notificato nelle scorse ore ad Andrea Semidoro, Giovanni Semidoro, Bracco Marcello, Alessandro La Medica, Sauro Piastrelli, Roberto Nelli, Bruno Lepri, Silvano Cerri, Marinella Biagetti, Gabriele Cicioni, Tiziana Prosperetti, Sandro Dalla Costa e Giuseppe Manuali. Secondo le accuse, ancora tutte da confermare, i 13, associati tra di loro, avrebbero “dato vita ad un sodalizio criminale” ordito principalmente dai Semidoro.
Denaro e regalie – Seondo le indagini i titolari della “officina ortopedica Semidoro” avrebbero corrisposto “ingenti somme di denaro (non quantificabili) e/o regalie di varia natura” per farsi rilasciare dai medici prescrittori della Asl2 (Bracco, La Medica, Piastrelli, Nelli e Lepri) di Perugia “certificazioni ideologicamente false poiché concesse in assenza delle condizioni legittimanti, in particolare certificavano falsamente negli attestati di avvenuto collaudo di aver accertato la rispondenza degli ausili protesici forniti alle persone assistite con quelli forniti”.
Favori in cambio di “ricompense” – Gli stessi medici inoltre avrebbero indirizzato, per gli acquisti delle protesi, i propri assistiti verso l'azienda Semidoro. Sempre secondo l'accusa le “segnalazioni” sarebbero state riepilogate su “liste individuali”, distrutte in concomitanza con la corresponsione della “ricompensa”, che veniva consegnata in “buste chiuse”.
Impiegati del distretto sanitario a percentuale – Cerri, Biagetti, Cicioni, e Prosperetti quali impiegati dei distretti sanitari di Panicale, Bastia Umbra, Marsciano e Gubbio avrebbero invece ricevuto percentuali pari al 4% (tranne Cicioni l'8%) del fatturato “procacciato” da ciascun impiegato. “In particolare abusando del loro 'status' di pubblico dipendente, indirizzavano gli assistiti – così scrivono gli inquirenti – verso l'azienda Semidoro, per l'acquisto di ausili protesici”. Fatti che sarebbero avvenuti a Perugia almeno dal 2002 all'aprile 2009.
Fatture “gonfiate” per la Asl – Ma i due Semidoro e La Medica sono anche stati indagati perché in concorso tra loro avrebbero certificato falsamente nell'attestato di avvenuto collaudo di calzature ortopediche, carrozzine e altri dispositivi la corrispondenza tra quanto prescritto e l'effettivo materiale fornito. Non solo; sarebbe stato accertato che in alcuni casi i dispositivi erogati sarebbero stati di qualità inferiore rispetto a quelli prescritto. In questo modo l'Asl avrebbe liquidato alla ditta fornitrice più denaro rispetto all'effettivo costo del prodotto. “Semidoro Andrea e Semidoro Giovanni quali contitolari dell'Officina Ortopedica Semidoro, per avere consegnato (ai clienti, ndr) dispositivi non conformi perché differenti da quelli prescritti dall'autorità sanitaria, nonchè fatturato all'Asl (di Città di Castello, di Perugia, del distretto assisano, del distretto del Trasimeno, del distretto della Media Valle del Tevere di Todi/Marsciano) l'importo corrispondente al presidio prescritto, così inducendo in errore l'amministrazione dell'Asl che liquidava in favore dell'Officina Ortopedica Semidoro Srl i relativi importi, ricavando così una indebita differenza di valore superiore”.
“Rincari fino a 1400 euro” – È così che a Marsciano un deambulatore sarebbe stato pagato dalla Asl ai Semidoro 1.348 euro in più. A Panicale una carrozzina pieghevole mille euro più del suo reale valore, in un caso, e 1.434€ in un altro. Ma la sfilza delle “prescrizioni” sotto inchiesta è lunghissima, oltre 130 i “casi” al vaglio degli inquirenti. Gli indagati ora potranno scegliere se presentare o meno spontanee dichiarazioni o memorie difensive ai carabinieri di Valfabbrica, Fossato di Vico o al NAS di Perugia, che hanno svolto le scrupolose indagini. Resta comunque ancora da attendere che venga disposto o meno il rinvio a giudizio, che avvierebbe il processo a carico dei 13.
Asl, “fiducia nella magistratura” – “Preliminarmente – questa la nota dell'azienda sanitaria – si precisa che, allo stato, non è stata ricevuta alcuna formale comunicazione da parte della citata autorità giudiziaria, relativa alla conclusione delle indagini preliminari sopra indicate. Con l’occasione, tuttavia, la direzione aziendale esprime incondizionata fiducia nei confronti dell’operato della magistratura, alla quale assicura la massima collaborazione. Nel contempo, si auspica che il personale dipendente che risulta coinvolto nell’inchiesta possa dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati”.
Parte civile – “Ove dovessero invece essere confermate dai competenti uffici giudiziari le accuse nei confronti dei medesimi dipendenti – conclude la nota dell'Asl – già oggetto di divulgazione, la direzione provvederà immediatamente a costituirsi parte civile nell’eventuale giudizio, quale soggetto offeso, e, nel contempo, ad assumere tutte le conseguenti iniziative in sede sia civile che disciplinare, ai sensi delle vigenti disposizioni normative e contrattuali al riguardo”.
Gli avvocati. I tredici indagati sono difesi dagli avvocati: Nicola Di Mario, David Brunelli, Fernando Mucci, Valeriano Tascini, Giorgia Mandò, Stefano Castellani, Mario Tedesco, Cesare Manini, Vinicio Di Massa, Alberto Stafficci, Franco Matarangolo e Ubaldo Minelli.
Una degli indagati “Mai preso una lira”. E' convinta di essere stata “tirata dentro questa storia” una dei tredici indagati che parla per voce del suo legale, l'avvocato Ubaldo Minelli: “La mia assistita era stata sottoposta a perquisizione domiciliare due anni fa ma l'esito era stato negativo. Tra l'altro non conosce nemmeno personalmente gli altri indagati. Difficile immaginare che abbia fatto parte di un sodalizio criminale”. L'avvocato Minelli viste le risultanze delle indagini sta anche prendendo in considerazione l'ipotesi di far testimoniare la sua cliente davanti al pm “E' lei stessa che mi ha chiesto di andare fino in fondo – spiega – è sicura che il suo operato sia sempre stato lecito”. Poi le parole dela donna: “Non ho mai favorito alcuna azienda indirizzando i pazienti. Davo loro soltanto il modulo indicante il tipo di protesi. Credo che qualcuno mi abbia tirato dentro questa storia ma io non ho mai preso una lira”.
Modificato alle 20.30
Riproduzione riservata