“Spinta a dimettermi perché sono donna” aveva detto, in sostanza, Catiuscia Marini in alcune interviste subito dopo aver rassegnato le proprie dimissioni sotto la pressione del segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti, e del commissario umbro del partito, Walter Verini.
E nelle ore in cui in Consiglio regionale Catiuscia Marini, martedì, confermava le proprie dimissioni, la magistratura italiana tornava a colpire la politica, da nord a sud, con gli arresti lombardi che hanno riguardato esponenti di Forza Italia e con l’inchiesta sui presunti appalti truccati che ha portato ad iscrivere nel registro degli indagati anche il governatore della Calabria, il dem Mario Oliverio.
“Spero che il Pd, le forze politiche del centro sinistra – aveva detto Catiuscia Marini terminando il suo discorso – sappiano farsi forza del riformismo e del garantismo. Se il Pd non ha questa forza viene meno il suo profilo di forza riformista, con cultura di governo, rispettosa dell’autonomia e indipendenza dei poteri. Non si può governare l’Italia con i sondaggi di giornata, bisogna avere visione e strategia al di là del consenso del momento. Solo così si evita di uccidere il futuro di un Paese”.
Silenzio del segretario nazionale sulla melina scelta dal gruppo consiliare dem in Umbria. Ma sul caso Oliveiro, il segretario nazionale, nel salotto di Vespa a “Porta a Porta”, ha commentato così: ““C’e’ solo una cosa peggiore del giustizialismo, ed e’ il giustizialismo di partito, per il quale si fa dimettere una persona per l’interesse del partito“. Aggiungendo: “La politica deve valutare la scelta migliore da fare, a salvaguardia del territorio”. Insomma, le dimissioni di Marini salvaguarderebbero gli umbri, quelle di altri governatori dem indagati no.
La deputata Pd Alessia Morani ha tweettato: “Zingaretti sul caso Oliverio dice no al giustizialismo di partito – riporta Agi -. Mi trovo d’accordo con il segretario, solo che non capisco perché vale per la Calabria e non per l’Umbria. Pare quasi un giustizialismo di ‘corrente'”. Più fragoroso il cinguettio di Giachetti: “Senza alcuna polemica, ma solo per capire, vorrei sapere come funziona nel nuovo Pd, ‘sta storia del “no” al giustizialismo di partito. Umbria sì, Calabria no? Donna sì, uomo no? Marini sì, Oliverio no? Ma davvero solo per capire. Di tutto il resto ne parliamo dopo il 26, giorno delle elezioni europee”.
Quel “ne parliamo dopo il 26” è sintomatico del clima che c’è dentro il Pd nazionale. Con i renziani che stanno valutando se provare a riprendersi il partito contando su una disfatta dei dem a guida Zingaretti alle elezioni o dare vita alla nuova “Cosa” di cui si parla da mesi. Tant’è che alcuni esponenti vicini all’ex segretario, tra cui l’umbra Anna Ascani, hanno dovuto smentire di portare acqua alla formazione di Emma Bonino piuttosto che al loro partito.
Guarda “al 26” anche il Pd umbro. Nel tentativo (forse fallito) di traguardare le elezioni prima di sciogliere il Consiglio regionale, non c’è tanto la speranza di un mancato successo della Lega in tanti comuni umbri dove il partito di Salvini si presenta favorito, quanto le aspettative sul voto delle europee. In caso di disfatta del partito ne uscirebbe indebolito il segretario Zingaretti e con lui il commissario umbro Verini. Così come il gioco delle preferenze tra i candidati in lista può rappresentare una sorta di conta tra le (almeno) due anime del Pd.
Già all’indomani della seduta del Consiglio regionale in cui sono state “congelate” le dimissioni di Catiuscia Marini sono iniziati i movimenti per cercare di trovare la quadra. Non incontri organici nelle sedi istituzionali, ma manovre di singoli personaggi o al massimo di pezzi di un partito che in questa fase, in Umbria, sembra non esserci più.
Gli assessori rimasti in Giunta si trovano assediati nel provare a portare a casa gli ultimi obiettivi prefissati. Dura, con le opposizioni che praticamente inviano alla Corte dei conti e al prefetto ogni atto siglato. Qualche assessore ha anche provato ad “accostare” qualcuno dei rappresentanti delle opposizioni, spiegando che alcuni atti sono importanti per gli umbri. Ma le mitragliatrici non sono state tolte intorno a Palazzo Donini ed a Palazzo Cesaroni. In questo clima, nelle ultime ore sta circolando la notizia secondo cui il gruppo dem – tra dubbi interni (su tutti, quelli di Leonelli) e di fronte alla risolutezza di Catiuscia Marini che, scaricata dal partito, sta giocando la sua partita in “autonomia” (rivendicata per l’Umbria, nel suo discorso, ma di fatto anche per se stessa), sarebbe pronto a capitolare, accettando le dimissioni della presidente nella seduta della prossima settimana. C’è da trovare la formula, per non sconfessare quanto fatto. Ma restare giorni più sul carro, ormai traballante, significa anche prendere più pomodori in faccia.
Non aiuta l’immagine dei consiglieri dem la consapevolezza da parte dell’opinione pubblica del fatto che, probabilmente, molti di loro non saranno membri della prossima Assemblea regionale. Alcuni perché proprio non più candidati; altri perché, se le elezioni andranno come da previsione, la pattuglia dem potrebbe accomodarsi su ben pochi scranni. Il posto sicuro, in realtà, appare solo quello del futuro candidato presidente che, pur non eletto, entrerebbe da consigliere a Palazzo Cesaroni. Un posto comunque ambito, dunque.
Alcune dichiarazioni di Giacomo Leonelli sono sembrate un’autocandidatura. Forte del fatto che, prima ancora di Sanitopoli, l’ex segretario umbro del Pd aveva iniziato a battagliare con la Giunta su varie partite. Fernanda Cecchini, dopo la lunga carriera da assessore, potrebbe puntare al voto nella sua Città di Castello. L’intramontabile Marco Vinicio Guasticchi tenta di sopravvivere al post-Bocci. E poi c’è Donatella Porzi, in vari momenti giudicata come un ponte praticabile tra le due anime del Pd. Paparelli, renziano deluso passato con Zingaretti, più che alle sponde ternane guarda a quelle nazionali per cercare un vaticinio sul suo futuro politico.
Le manovre in vista del voto anticipato sono già iniziate. Già se ne parla, negli ambienti dem umbri, del possibile candidato presidente, in vista di un voto che presumibilmente si svolgerà in autunno, indipendentemente dai giorni di vita in più che il Consiglio riuscirà a strappare. C’è chi propone lo stesso Walter Verini, verso il quale Catiuscia Marini ha voluto togliersi un sassolino (neanche tanto piccolo) dalla scarpa: “Io diffido sempre di quelli che ‘vengono da Roma’ a dirci cosa dobbiamo fare ed ancor di più diffido di ‘quelli che andati a Roma’ tornano con la supponenza di aver visto la città ed i suoi ‘poteri’ e vorrebbero spiegare le cose del mondo a noi della provincia“.
A Roma c’è stata, fino allo stop renziano, anche Marina Sereni, un altro dei nomi circolati. Come quello di Mauro Agostini, pescato nell’ambiente di Verini ma capace di scontentare meno l’altra parte.
Difficile però riproporre questi nomi per un partito che “vuole voltare pagina“, come si continua a dire da quando è scoppiata la bomba Sanitopoli. Anche se, solo lo scorso dicembre, le primarie hanno dimostrato come “vecchio e nuovo” in Umbria siano concetti piuttosto relativi. L’idea alternativa che circola in vari ambienti è quella di pescare fuori. Nel tessuto imprenditoriale, dove però può risultare più difficile convincere qualcuno in tempi rapidi. O più agevolmente in quelli universitari. E il nome del professor Luca Ferrucci non è il solo fatto.