“A me, ma pare na str…“. Cita una celebre battuta del Drive In uno dei candidati del Pd alle prossime elezioni regionali. Uno di quelli che si impegna a pagare una multa di 30mila euro in caso di fuoriuscita dal Pd e di ingresso in un altro partito una volta eletto.
E’ la risposta del commissario Walter Verini e del tesoriere Pd Paolo Coletti al timore del salto della quaglia verso Italia Viva, il nuovo partito fondato da Matteo Renzi. Formazione che non si presenta ai nastri di partenza nella competizione elettorale del 27 ottobre, ma che potrebbe fare successivamente il suo ingresso a Palazzo Cesaroni attraverso una campagna acquisti per formare il gruppo consiliare. Cambi a cui si è assistito piuttosto frequentemente (e per varie ragioni) a destra e a sinistra dell’emiciclo dell’Assemblea legislativa umbra.
Uno dei dilemmi di Verini nella composizione delle liste era proprio se inserire in lista i renziani rimasti nel Pd oppure evitare rischi, perdendo però altri voti. Quindi la soluzione: toccare il portafoglio del consigliere laddove non arriva la fede politica.
“Non comprendiamo sinceramente questa polemica – prova a gettare acqua sul fuoco il capolista del Pd alle regionali, Luca Gammaitoni -. É una proposta nata al nostro interno, che il tesoriere ha inserito nelle regole che ogni candidato sottoscrive con il proprio partito al momento dell’l’accettazione della candidatura. Per noi è un patto politico-morale, per rispetto della comunità di elettori democratici che ci voterà sotto il simbolo Pd non certo un vincolo sanzionatorio. E come tale l’abbiamo sottoscritto”. Anche se, a microfoni spenti, non tutti sono convinti.
Proposta che secondo alcune ricostruzioni sarebbe stata avanzata dal consigliere uscente Giacomo Leonelli. Tra l’altro, un renziano della prima ora, che poi ha sostenuto Verini nella corsa alla segreteria umbra contro il patto Bocci-Marini.
Ma Leonelli smentisce la paternità della proposta, anche se ne condivide le finalità: “Leggo che il commissario umbro del Pd Verini attribuirebbe a me la proposta del cosiddetto rimborso a titolo risarcitorio di 30mila euro previsto in caso di abbandono del gruppo consiliare da parte degli eletti. Sinceramente non ricordo di aver espressamente fatto questa proposta, ma posso dire che il principio generale di questa idea è stato sostanzialmente condiviso da me e dagli altri colleghi candidati. L’obiettivo, per come io l’ho interpretato, è quello, semplicemente, di garantire a un partito che a livello territoriale vive solo sulle contribuzioni degli eletti, una entrata certa, nel pieno rispetto della legge, oltre che del codice etico, dello statuto e dei regolamenti finanziari del Pd – spiega Giacomo Leonelli -. Nel corso della passata legislatura, da segretario regionale, ho potuto toccare con mano la delicatezza dell’argomento, quando un consigliere ha scelto di uscire dal Pd e dal gruppo; già allora attività politica e posti di lavoro dei dipendenti rischiarono di risentirne in maniera importante. Anche per questo non ci è sembrata, a me e agli altri colleghi, così fuori luogo l’idea di impegnare tutti gli eletti a corrispondere una cifra che comunque è meno della metà di quanto dovrebbe versare un consigliere in via ordinaria in caso di elezione in cinque anni al Pd”.
Una proposta che fa rumore, anche perché arriva dopo la proposta del capo politico del Movimento 5 stelle, Luigi Di Maio, di rimuovere la norma costituzionale del vincolo di mandato per i parlamentari deciso dai padri costituenti. Perché il potere appartiene al popolo, ha spiegato sulle colonne del Corriere della Sera il politologo Ernesto Galli della Loggia. Una posizione che era stata condivisa dall’ex governatrice umbra Catiuscia Marini. Che sabato aveva commentato: “Beh, sul vincolo di mandato e sulla riforma della giustizia si misurerà se il Pd rimarrà riformista o abbraccerà il populismo di sinistra! E qui in molti sceglieranno di rimanere riformisti...”.
Poi la notizia del patto (con tanto di sanzione) che Verini ha sottoposto ai candidati. E un nuovo commento di Catiuscia Marini: “In Umbria le modifiche costituzionali si applicano prima che le approvi il Parlamento… siamo avanti” ironizza sdegnata. Poi un quesito: “Ma siamo sicuri che violando lo Statuto regionale non ci siano problemi?“. Perché ovviamente nello Statuto della Regione Umbria non si prevedono norme per “vincolare” i consiglieri. Né, del resto, che impongono agli eletti di versare quote al proprio partito.