Dove recuperare 40mila voti in due anni? E subito qualche migliaio nelle città in cui si andrà al voto per scegliere il sindaco? La risposta all’indovinello della settimana (che rischia piuttosto di apparire come la domanda del secolo) il Pd umbro sembra cercarla negli ospedali, indicati come una delle eccellenze della regione: ma ovvio, basta accorciare le liste d’attesa! E’ questa una delle risposte che il Pd e la coalizione di centrosinistra, attraverso le parole di molti dei suoi più alti esponenti, intendono fornire per recuperare il feeling perso con gli umbri. Anche perché le altre due priorità (infrastrutture e lavoro) non sembrano essere nelle corde di un governo locale. E allora, più facile fare meglio dove già si sta facendo abbastanza bene, piuttosto che promettere ciò a cui non si può arrivare.
O forse, maligna qualcuno, il Pd si preoccupa tanto delle liste d’attesa perché il suo corpo, sempre più indebolito, ha bisogno di un check-up completo. Dal punto di vista della strategia elettorale, forse, una volta entrati negli ospedali, converrebbe di più capire come mai uno storico bacino di voti qual è la sanità pubblica stavolta abbia travasato acqua in altri lidi. E il discorso si potrebbe allargare a tutto il pubblico impiego, fascia occupazionale tradizionalmente molto consistente (e in passato riconoscente) in Umbria. Fenomeno a cui ha fatto cenno la presidente Marini nella sua analisi post voto, ma che richiede approfondimenti. Tagliate Montane, agenzie, partecipate (opportunamente sacrificate sull’altare della spending review) è venuta a mancare anche una convincente leva nelle mani dei governi locali.
L’assessore Barberini, sentita aria di rimpasto (Marini gli ha detto chiaramente che anche lui non deve sentirsi al sicuro) si è comunque dato da fare ed ha annunciato una task force per ridurre le liste d’attesa. Vedi mai funzionasse…
Il precedente piano per accorciare le liste d’attesa – nei mesi della cattività bocciana, con Barberini lontano da Palazzo Donini – lo avevano presentato l’Orlandi della discordia e il “reggente” (parola oggi tanto in voga) Bartolini. A quest’ultimo la cosa non ha portato bene, visto che, dopo la sconfitta “politica” del 4 marzo, il meno politico della giunta Marini è il più indiziato a lasciare Palazzo Donini. Finito, appunto, nell’angosciosa lista (nera) d’attesa.
Dopo quello delle liste d’attesa, il tema più gettonato è il rimpasto della giunta regionale. Qualcuno, come il consigliere Smacchi, ci aveva fatto la bocca a scalare un Palazzo, forte dell’accordo con Giulietti. La sconfitta dell’ex parlamentare dell’Alto Tevere sembra aver compromesso anche la promozione del consigliere eugubino. Perché è vero che la Fascia appenninica in crisi ha bisogno di una rappresentanza forte, ma da quelle parti, risalendo in su fino a San Giustino, per il Pd è stata una via crucis.
Il partito nazionale lo ha congelato al suo posto di segretario regionale; lui si è scongelato ed ha confermato le proprie dimissioni. Attacca e stacca il congelatore. Che poi, si sa, è una pratica rischiosa, che danneggia anche il piatto più succulento.
Allora, senza attendere l’arrivo di Burian 2, Leonelli se n’è andato con la famiglia sulla neve, superando il suo segretario (dimissionario) Renzi. Quanto alla promozione in Giunta (al posto di Bartolini, ovviamente, anche se lui medita vendetta nei confronti di Chianella), Leonelli assicura che non è un suo obiettivo. Visti i precedenti, suona tanto come un “Enrico, stai sereno“. E a Palazzo Donini, gli assessori finiti nella lista (nera) d’attesa fanno gli scongiuri.
Martedì pomeriggio, giorno per il quale si è aggiornata la Direzione regionale del Pd, si deciderà, salvo imprevisti, l’assetto provvisorio del partito. Per quanto a lungo, saranno anche gli eventi nazionali a determinarlo. Il rinvio della “resa dei conti” spinge verso soluzioni tecniche, che non impongano, cioè, di dover fare e giustificare dei nomi. Nonostante i mal di pancia, dunque, la proposta di creare una reggenza collegiale con i due segretari provinciali (Miccioni e Silveri), il tesoriere Tosti e il capogruppo regionale Grisù-Chiacchieroni potrebbe tenere.
Lasciare fuori la presidente Porzi, si spiega, salvaguarda una figura istituzionale. Marini, che in questa fase dà le carte, ha attivato la linea rossa con Chiacchieroni. Fuori anche la rappresentanza dei sindaci, che sbracciano dopo aver visto lo tsnunami travolgere le sfere più alte. Ai territori il fatto che il partito, da qui alle elezioni, sia in mani non pienamente legittimate fa più comodo che paura. Se potessero, più che con i reggenti, il partito lo vorrebbero in autoreggenti.
Intanto, proseguono senza sosta le processioni all’ufficio del professor Bracalente, al quale si chiedono le reali possibilità di vittoria in ogni quartiere dei comuni dove si andrà a votare. Lui, un po’ con il conforto dei numeri, un po’ con il cuore, l’ha detto che forse, per le amministrative, il centrosinistra può tornare in gioco. Ma non basta, dalla scienza si pretende di più. E si rimpiangono i tempi in cui, ad esempio, un Vannio Brozzi conosceva, via per via della sua Bastia Umbra, quanti voti avrebbe preso il partito già prima di togliere i sigilli alle urne. In fondo, era scienza anche quella.
Che Terni fosse un problema per il Pd lo si poteva prevedere prima, durante e dopo la campagna elettorale. E il fatto che il partito, pur pesantemente sconfitto, nella città dell’acciaio sia crollato un po’ meno di quanto si pensasse poco consola di fronte all’imminente nuova prova delle urne, alla quale si presenta come un pugile suonato.
E se al regionale la parola d’ordine resta “evitare per ora la resa dei conti“, a Terni il vaso è talmente colmo che già nella Direzione comunale di giovedì sono volati gli stracci. Brega suona la carica, facendo profilare addirittura un appoggio ad una lista civica pur di smarcarsi dal “Partito Perdente”. “Io mi prendo le mie responsabilità, ma anche altri lo facciano” tuona. E punta l’indice contro chi continua a fare “convegni” sui soldi che pioveranno sull’imprenditoria ternana, mentre nel mondo reale la gente continua ad essere licenziata. Paparelli fa finta di nulla e invia l’ennesimo comunicato stampa in cui annuncia date e cifre dei finanziamenti sul piatto.
“Ma guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché serrate il Regno dei cieli davanti alla gente; poiché non vi entrate voi, né lasciate entrare quelli che cercano di entrare”, Matteo 23.13. Sarà l’avvicinarsi della Pasqua, ma Guasticchi in versione mistica si scaglia contro la “corrente dei farisei“. Ecco alcuni passi del Vangelo secondo Marco Vinicio: “Dopo la sconfitta elettorale ecco spuntare i nuovi farisei del partito pronti a stigmatizzare le correnti ed elevandosi alla purezza politica. Questi signori sono quelli che fino a poco tempo fa si sono spartiti con il manuele Cencelli quote congressuali in virtù di correnti romane o perugine” si legge nel primo versetto. E poi la profezia, contenuta in Marco Vinicio 1.8: “Quindi avanti così con meno fustigatori e con persone che hanno voglia di impegnarsi per il bene della propria comunità. Solo così torneremo a governare Perugia e il resto dell’Umbria“. Qualcuno dice di averlo visto camminare sulle acque dell’invaso di Montedoglio, ma le testimonianze, su questo punto, sono confuse. I mercanti nel tempio, tuttavia, iniziano ad agitarsi.
I commercianti, insieme agli artigiani, agli industriali ed ai rappresentanti dei lavoratori, entreranno lunedì non nel tempio, ma a Palazzo Donini. L’invito è firmato dalla presidente Catiuscia Marini, disponibile a parlare delle linee guida per un nuovo modello economico dell’Umbria che i sindacati le avevano fatto recapitare qualche tempo fa. Magari possono tornare utili per lo scatto cercato nella Fase 2 di questa legislatura. La Cgil si porta avanti con il lavoro e intanto bacchetta la Regione sulla sua “finanziaria”: l’agenda delle priorità è da rifare. Il segretario della Cisl, Sbarra, il suo pensiero lo ha già anticipato all’Assemblea dei sindaci. Con Confindustria che sta con chi vince da statuto ed artigiani e commercianti che stentano a tener buona la base, si cerca di riaprire il dialogo con i sindacati e chiudere intanto con loro il cerchio. Sempre che i buoi non siano già scappati e stiano bussando, per dirla con Bersani, alla porta.
Tutt’altro clima nello schieramento opposto. Anzi, in uno degli schieramenti opposti, quello del centrodestra (i 5 stelle hanno un occhio sui comuni al voto, un occhio sugli avvenimenti romani) dove la nutrita pattuglia di neo parlamentari umbri ha ancora in circolo le bollicine delle bottiglie stappate la notte tra il 4 e il 5 marzo.
A guardare i loro post, si passa da una festa all’altra. C’erano tutti, senza distinzione di appartenenza politica, nella discoteca Nuovo Mondo di Montefalco, patria della neo senatrice Donatella Tesei. Grandi sorrisi ed agilità nei movimenti di bacino. Per una sera, gli angusti movimenti romani per trovare una maggioranza ed evitare le urne sono stati invece dimenticati.
Ed è stata una festa “liberale“, raccontano Modena e Nevi, la prima riunione congiunta, nella Sala Regina di Montecitorio, dei gruppi parlamentari di Forza Italia di Camera e Senato, con Berlusconi, rientrato dove la legge Severino lo aveva sfrattato. I parlamentari azzurri Berlusconi lo hanno incontrato di nuovo in un’altra festa, quella per il matrimonio della coordinatrice regionale Catia Polidori con l’imprenditore senese Roberto Porcelli. E insieme all’illustre testimone di nozze c’erano il presidente del Parlamento europeo Tajani, Brunetta, Romani, Mussolini, Letta, Prestigiacomo. Ma soprattutto, c’era Andrea Romizi, che ha benedetto gli sposi dopo la cerimonia officiata da monsignor Rino Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. Di vino alla cena di nozze ce n’era a sufficienza e di ottima qualità; lo brocche colme d’acqua, dunque, sono rimaste tali.
Un legame, quello tra Polidori e il Cavaliere, nato nel 2010 quando la parlamentare umbra, da fedelissima di Fini, lasciò Futuro e Libertà per votare la fiducia a Berlusconi. Chissà che al Cav ora non riesca qualche mossa del genere, per assicurare ad un nascente governo di centrodestra i voti necessari, senza dover tornare subito subito alle urne…