Lo scorso 6 maggio l’ospedale di Terni aveva chiuso l’area medica per 3 nuovi casi di pazienti affetti da Coronavirus. Nella circostanza i degenti erano stati trasferiti temporaneamente al week di Urologia per consentire la sanificazione degli ambienti dove si trovavano i soggetti positivi al Covid19.
Anche il personale sanitario era stato ridistribuito in altre unità mediche, ma, come sottolinea il segretario regionale Fials (Federazione Italiana Autonoma Lavoratori Sanità), Mario Bruni,
“lo spostamento degli operatori sanitari presso altre unità operative è avvenuto senza essere stati sottoposti a tampone”.
Bruni ha infatti inviato una lettera al commissario dell’azienda ospedaliera Santa Maria, Andrea Casciari, nella quale chiede chiarimenti su come sia stata gestita la situazione di emergenza e sottolinea: “In merito alla gravità di quanto a noi pervenuto veniamo a richiedere i relativi riscontri e le eventuali sanzioni amministrative attivate dall’azienda in rapporto alle relative responsabilità”.
Tra le corsie del Santa Maria, nonostante in città il Coronavirus non abbia colpito come in altre parti d’Italia, ci sono alcuni lavoratori, dal personale medico a quello di servizio, che sono preoccupati per come l’emergenza Covid è stata gestita. In particolare, in questi giorni, i lavoratori sono preoccupati per il flusso di persone che hanno iniziato di nuovo a frequentare il Santa Maria, creando apprensione riguardo i sistemi di controllo predisposti in fase di accesso al presidio ospedaliero.
“Oggi, in particolare per la provincia di Terni, la situazione drammatica in cui versa l’azienda ospedaliera ‘Santa Maria’ di Terni, torna a farci lanciare l’allarme per la difesa della salute dei dipendenti e di un intero territorio. La gestione delle emergenze all’interno della azienda ospedaliera di Terni, in rapporto alla pianificazione delle opportune disposizioni della direzione strategica, sembra mostrare forti limiti nella sua organicità risultando parcellizzata e segmentata nei relativi procedimenti attuativi anche a fronte di una scarsa condivisione con tutte le aree della azienda.
In particolare la continua apertura dei reparti dedicati al Covid-19 – sottolinea ancora il sindacato – accompagnati da sommarie disposizioni dei relativi percorsi sanitari trasversali ad una struttura vecchia, costruita su sei piani e due seminterrati, crea gravi difficoltà di contenimento della diffusione del rischio anche a causa della oggettiva difficoltà di coordinamento della logistica che si associa alla cronica carenza di personale. La mobilità interna degli operatori obbliga delle continue variazioni improvvise degli assetti organizzativi, ricollocati senza la dovuta formazione, ormai sospesa, nelle nuove aree di rischio.
“A ciò si aggiungono la mancanza di adeguati dispositivi di protezione – conlcude Bruni – la quotidiana negazione di diritti tra cui quella del godimento di permessi e riposi, la paura di contrarre contagio e di poterlo inconsapevolmente trasferire ai propri familiari, la mancanza della individuazione di adeguate aree di decontaminazione per piano destinate alla vestizione/vestizione, la gerarchizzazione dei rapporti di lavoro contrario alla collaborazione che dovrebbe invece essere richiesta in situazioni di emergenza. Sono la sintesi di alcuni elementi che stanno notevolmente peggiorando un clima aziendale già compromesso e che fa diventare il lavoro come vera sofferenza”.