Martedì mattina verrà effettuata l’autopsia sul corpo di Danielle Claudine Chatelain, la “svizzera” come la chiamavano nel quartiere di via Oberdan i suoi vicini di casa e conoscenti. Un soprannome dato dal suo paese di provenienza e forse qualcosa in più, il modo per descrivere una donna dal temperamento forte e da carattere estremamente riservato, colta e austera. Così la descrivono gli abitanti del quartiere ancora sconvolto dal ritrovamento del corpo della 73enne senza vita e dai retroscena di una morte per la quale adesso è in carcere con l’accusa di omicidio come conseguenza di percosse Renata Kette, 53enne originaria dell’Albania.
“Vuoti di memoria” dell’arrestata. La Kette che presto incontrerà il giudice per le indagini preliminari ieri si era avvalsa della facoltà di non rispondere, ora invece sarebbe pronta “a chiarire” davanti al Gip la sua posizione. Ha incontrato oggi in carcere il suo difensore, l’avvocato Saschia Soli che ha detto di averla trovata “provata e con dei vuoti di memoria”. Il legale non è comunque voluto entrare nel merito della vicenda, limitandosi a sottolineare che è stata la sua assistita a dare l’allarme per quanto successo.
Il volto tumefatto. Ieri all’arrivo dei soccorritori e degli inquirenti il corpo di “Daniela”, come la chiamavano gli amici, era ai piedi della rampa di scale del palazzo al civico 50 di via Oberdan, una volta sede dell’ex ospedale cittadino, in pieno centro storico. Sul volto i segni della violenza. Ematomi e lesioni. Sul posto gli agenti della squadra volante (guidata da Isadora Brozzi e gli investigatori della Mobile guidati Marco Chiacchiera insieme al medico legale Sergio Scalise Pantuso. Ma presto gli inquirenti torneranno nell’appartamento per nuovi accertamenti.
La perdita del marito e della figlia e la convivenza con l’arrestata. Renata Kette è stata subito trasferita in Questura nell’ambito di un’indagine che rapidamente è virata verso l’ipotesi di omicidio dopo il faccia a faccia con il pm Giuseppe Petrazzini. La vittima era rimasta vedova da diversi anni (il marito nel quartiere era noto come “l’ingegnere”) ed era molto legata ai suoi animali (cani e gatti di cui adesso si prende cura il servizio veterinario), gli affetti più grandi dopo l’ultima gravissima perdita, quella della figlia che viveva con lei, deceduta a febbraio in seguito ad una grave malattia. E proprio il legame tra quest’ultima e l’indagata avrebbe unito Renata Kette a quella che oggi gli inquirenti considerano la sua vittima.
Il movente. La Kette si era trasferita nell’appartamento proprio con la figlia di Daniela e quando questa è venuta a mancare lei è rimasta li. E proprio in questa “convivenza” forse non più gradita da parte della padrona di casa la procura legge un movente: una discussione affinchè la 53enne lasciasse quella casa da cui potrebbe essere esplosa la violenza e infine il drammatico epilogo, sfociando in omicidio “volontario” e forse aggravato anche dalla condizione di inferiorità fisica dell’anziana.