Sono trascorsi 5 mesi da quel 25 novembre in cui Francesco Rosi, con due colpi di fucile ha ucciso la moglie Raffaella Presta mentre il loro figlioletto si trovava nel bagno della villa in via del Bellocchio teatro dell’omicidio. Da quella notte Rosi è rinchiuso nel carcere di Perugia, da dove i suoi legali, l’avvocato Luca Maori e Donatella Donati, hanno inutilmente cercato di farlo uscire appellandosi all’incompatibilità delle sue condizioni psichiche con il regime detentivo.
Oggi, in aula, dove anche Rosi era presente si è tenuta con la formula dell’incidente probatorio la relazione dei medici nominati dal giudice (Sergio Scalise Pantuso e lo psichiatra Alessandro Perazzi) che hanno incontrato l’indagato in carcere lo scorso 7 aprile e che hanno redatto la relazione che conferma che Rosi può rimanere in carcere purché “continui il percorso terapeutico riabilitativo già intrapreso grazie al supporto clinico ed assistenziale del personale sanitario del carcere e che vengano predisposte tutte le azioni tese al monitoraggio del suo stato psicologico, comprensivo del necessario insostituibile intervento farmacologico”. Insieme ai nominati dal giudice in carcere sono andati anche i periti di parte Mauro Bacci, Giuseppe Sciaudone, Enrico Minciotti e Tiziana Camorri.
Rosi si è presentato ai medici in uno stato “di sufficiente attenzione alla propria persona” e “non ha posto in risalto alcuna reale alterazione della lucidità e del tardo di vigilanza”. I periti hanno però evidenziato una difficoltà nell’ambito del controllo dello stato emotivo con “tendenza ripetuta a commuoversi nel ripercorrere i recenti vissuti correlativi al figlio e alla figura del coniuge deceduto” e hanno rilevato anche patologie di tipo persecutorio del Rosi, come ad esempio il timore che potessero avvelenargli il cibo con sostanze letali o atte ad indurlo al suicidio. Per questo dal momento dell’arresto Rosi mangiava solo dolciumi confezionati, cioccolata e caramelle (che gli hanno causato abnorme innalzamento dei livelli lipidici) e dopo questo ha scelto di prepararsi da solo i pasti.
La cura farmacologica per lo stato ansioso a cui è stato sottoposto, secondo i periti “ha sortito una parziale attenuazione dello stato d’angoscia permanendo comunque il pericolo che possano essere reiterate condotte anticonservative. Ma l’attuale condizione detentiva non appare però foriera né peggiorativa dello stato di disagio psicologico che risulta sostanzialmente correlative allo stato di consapevolezza da parte del Rosi della gravità dell’atto compiuto e delle ripercussioni che lo stesso ha avuto sul personale futuro e delle persone a lui più care (il figlio)”.
Omicidio Presta “delitto annunciato”, Raffaella “se mi uccide non dategli mio figlio”
I legali dei familiari di Raffaella Presta, che aveva più volte parlato alle amiche delle violenze subite dal marito e che temeva così tanto di poter esserne vittima da dire alle amiche “se mi uccide non dategli mio figlio”, sono certi che l’unico posto in cui Rosi può stare sia il carcere. Per la difesa del reo confesso si tratta di un delitto d’impeto a seguito di provocazione, commesso quando la vittima ha pronunciato la frase “quel bambino non è tuo figlio”.