L’incubo è tutto in una foto. Nell’autoscatto che Raffaella Presta aveva inviato a suo fratello pochi giorni prima di essere uccisa dal marito Francesco Rosi con due colpi di fucile. A più di un anno dalla tragica uccisione dell’avvocato di origine pugliese (Raffaella fu uccisa il 25 ottobre 2015), si è tenuta venerdì l’udienza preliminare dinanzi al gup Alberto Avenoso e Rosi ha optato per il rito abbreviato condizionato all’essere interrogato in aula.
«Un incidente domestico, diciamo», scrisse Raffaella a commento di quel selfie con gli occhi marchiati dal sangue pesto e lui (il fratello), chiese di poterla raggiungere. «Potresti fare una sorpresa – gli rispose Raffaella – O meglio dire che sei in zona, comunque ti direbbe che ho sbattuto contro un’anta di un armadio…».
Rosi si consegnò alle forze dell’ordine chiamando il 112 dicendo di avere sparato alla moglie. Secondo il sostituto procuratore Valentina Manuali l’uomo, che sparò mentre il loro bambino di sei anni era nella stanza accanto a fare il bagnetto, «garantìl’immediata disponibilità dell’arma da sparo e del relativomunizionamento» e «programmò il delitto alla luce di pregressa causale omicidiaria».
Premeditazione dunque secondo l’accusa, ma non solo. Tra le circostanze che sono catalogate come aggravanti, c’è anche quella dell’aver agito davanti al figlio di sei anni, che il pm ha deciso di non sentire (per tentare, sembra ovvio, di proteggerlo da un ennesimo dolore), anche se è l’unico testimone diretto dell’omicidio della madre.
«Come ha avuto il coraggio di commettere il gesto che ha commesso, adesso deve avere anche il coraggio di assumersi la responsabilità delle conseguenze del suo gesto». Antonio Presta, il padre dell’avvocatessa è provato dall’udienza, durante la quale ha guardato in faccia l’assassino di sua figlia per la prima volta dopo l’uccisione della figlia. «Noi vogliamo solo giustizia. Certo poi vorrei anche che lui capisse di aver ammazzato una persona, di aver distrutto la sua famiglia e di aver tolto l’affetto della madre a un bambino di sei anni. Ci può essere un fattaccio peggiore di quello che lui ha commesso?».
E intanto gli avvocati della famiglia Presta, hanno depositato ieri mattina al giudice Alberto Avenoso un’istanza di sequestro conservativo per i beni di Francesco Rosi. «Che – stigmatizzano i legali – come risulta dalla visura catastale e ipotecaria con atto trascritto il 12.11.2015, ossia meno di due settimane prima dell’omicidio di Raffaella Presta, ha retrocesso al padre Fernando gli immobili di maggior pregio e valore a lui intestati, risolvendo il contratto di donazione con il quale gli erano stati conferiti». Chiederanno un risarcimento finale «non inferiore a 2.500.000 euro».
Ammessa anche le costituzioni di parte civile dei familiari di Raffaella (i genitori, i fratelli e il figlio della vittima), il Comitato per le pari opportunità della Regione Umbria e due associazioni (Liberamente Donna e Rav).
Foto di repertorio