“Quell’uomo l’aveva già condannata a morte da tempo”, secondo il padre Antonio Presta ex maresciallo dei carabinieri, la figlia Raffaella avvocatessa 40enne ammazzata il 25 novembre dal marito Francesco Rosi nella loro villa in via Bellocchio a Perugia è stata vittima di un omicidio premeditato. “Io ignoravo tutta la questione che stava vivendo e aveva vissuto mia figlia, – ha detto l’uomo fortemente provato, in una intervista rilasciata pochi giorni fa al Tg1 – tante cose sono venute a galla e ho scoperto che mia figlia…- si commuove il padre militare che non ha saputo, ne potuto, aiutare sua figlia -, pare che il signor Rossi – continua l’uomo – fosse dotato di una certa furbizia all’inizio l’ha cominciata a picchiare dove non si vedeva. Mia figlia non aveva mai sporto denuncia, all’inizio non aveva calcolato bene la ferocia che viveva accanto a lei, perché secondo me, a posteriori, la sentenza di morte era già stata emessa”.
Una sentenza, secondo l’accusa della procura, scritta in quel fucile da caccia che Francesco Rosi, 43 anni, teneva sotto il letto sempre carico e che ha impugnato per sparare due colpi alla moglie menre il figlio di sei anni era in bagno. Secondo il legale Marco Brusco, componente del collegio di legali che assistono la famiglia Presta, la battaglia giudiziaria sarà quella per dimostrare che si è trattato di un omicidio premeditato “ci batteremo – le parole del legale – perché venga dato l’ergastolo al signor Rosi, perché non riterremo nessun’altra pena congrua”.
E intanto sono iniziati puntuali questa mattina 29 febbraio alle 9.30, al Ris di Roma, gli accertamenti scientifici sui reperti prelevati nella casa del Bellocchio. Al vaglio degli esperti gli indumenti che Rosi indossava la sera dell’omicidio, le tracce ematiche e soprattutto il fucile da caccia impugnato per uccidere l’avvocatessa originaria della Puglia. Per i primi esiti degli esami ci vorrà almeno una ventina di giorni. Poi ci sarà da attendere la chiusura delle indagini preliminari e la richiesta di rinvio a giudizio.