L’omicidio non è stato che l’ultimo, estremo e fatale, maltrattamento a cui è stata sottoposta Raffaella Presta. E’ questo il cardine del pensiero del giudice Alberto Avenoso che ha condannato Francesco Rosi a 30 anni di reclusione per aver ucciso la moglie Raffaella Presta, con due colpi di fucile nella loro villa di via del Bellocchio il 25 novembre del 2015.
Nelle 45 pagine con cui il giudice ha motivato la sentenza di condanna sostiene infatti che “il fatto omicidiario altro non è che uno degli episodi, purtroppo l’ultimo, attraverso cui si è manifestato il reato di maltrattamenti”. Secondo il giudice, che ha escluso l’aggravante della premeditazione, l’omicidio dell’avvocatessa pugliese, Raffaella, ammazzata a pochi passi dal figlioletto che stava facendo il bagno “e – scrive il giudice – è impossibile che il bambino non abbia udito le esplosioni e non abbia percepito nell’immediatezza cosa fosse successo”. E quello che era appena successo è che il padre aveva scaricato contro la madre due colpi di fucile a distanza di pochi secondi.
“Il Rosi – scrive il giudice – nello scaricare e ricaricare l’arma, mentre la moglie era a terra sanguinante, ha avuto un minimo, e tuttavia apprezzabile, lasso di tempo per recedere dal proprio proposito criminoso, tenuto anche conto che aveva a pochi metri di distanza il figlio, oggetto di amore profondo e incondizionato. Ma non lo ha fatto. Così facendo, non solo ha distrutto la vita di una giovane donna e provocato un immenso dolore al nucleo familiare di origine della coniuge, ma ha anche gravemente e indelebilmente segnato, in maniera che lo scrivente ha timore a ipotizzare, la vita del minore, testimone dell’orrendo gesto”.
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30 anni: è questa la sentenza emessa dal Tribunale di Perugia per l’omicidio di Raffaella Presta. La condanna al marito della donna, Francesco Rosi, era arrivata il 12 luglio, al termine del processo celebrato con rito abbreviato. Il Gup Avenoso, aveva inoltre escluso a carico dell’uomo le aggravanti dei futili motivi e della crudeltà. Il pm Valentina Manuali aveva chiesto l’ergastolo, senza attenuanti e con le aggravanti di premeditazione e crudeltà.