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Omicidio Presta, bufera per test dna su minore | Sospeso l’avvocato

Che il test del dna eseguito sul figlio di Francesco Rosi, oggi in carcere per l’omicidio della moglie Raffaella Presta, e portato innanzi ai giudici del tribunale del Riesame come prova di un delitto d’impeto motivato da una frase provocatoria della vittima ed evitare così la contestazione delle aggravanti giustificando l’assenza del pericolo di reiterazione del reato, fosse stata una mossa della difesa dalle notevoli conseguenze, era nell’aria da tempo. Oggi il quotidiano La Nazione che anticipa la notizia a firma di Erika Pontini, lo definisce un “boomerang” che si trasforma in un “danno da ritorno per il collegio difensivo dell’immobiliarista perugino”. Si, perchè il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Perugia, Lidia Brutti, ha emesso un provvedimento di interdizione dalla professione forense per quattro mesi (fino alla fine delle indagini preliminari per l’omicidio Presta di fatto) nei confronti dell’avvocato difensore di Rosi, e nei confronti di un collega che lo aveva affiancato nel procedimento.

Secondo la ricostruzione accusatoria del procuratore della Repubblica, Luigi De Ficchy e dell’aggiunto Antonella Duchini infatti i nodi centrali sono due e valgono al legale l’accusa di favoreggiamento personale, in parte riconosciuta dal Gip: aver eseguito l’esame sul minore in assenza di qualsiasi autorizzazione e solo con il consenso del padre che si trovava detenuto e in posizione di conflitto di interessi con il bambino e l’aver prospettato che l’accertamento genetico fu eseguito dopo l’interrogatorio di garanzia di Rosi, il 27 novembre, quando invece fu fatto prima per favorire la posizione processuale dell’indagato. Ma la procura aveva espresso una richiesta ben più pesante, stando a quanto riportato dal quotidiano, quella dell’emissione di una misura di custodia cautelare agli arresti domiciliari per favoreggiamento e falso ideologico. Il gip avrebbe escluso il falso ritenendo che le esigenze fossero comunque garantite dall’interdizione momentanea della professione. Nell’inchiesta sarebbe indagato, per falso, anche il genetista forense che ricevette i campioni di saliva di padre (tramite un mozzicone di sigaretta) e del bambino (un tampone fatto sul bicchiere dove il piccolo aveva bevuto) per seguire la comparazione dei codici genetici.

L’avvocato Maori, difeso dall’avvocato Francesco Falcinelli – è stato raggiunto venerdì dalla notifica del provvedimento e, nei prossimi giorni, dovrà essere sottoposto all’interrogatorio davanti  al giudice Lidia Brutti. Va ricordato che già tribunale del Riesame, nel provvedimento rigettava la richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare nei confronti di Francesco Rosi, aveva definito il prelievo “illegittimo, inutilizzabile e comunque viziato dall’operazione di prelievo ‘non valida’ fatta dai familiari”. Nelle motivazioni la vicenda-dna occupa il posto di primo piano: i giudici citano la sentenza Knox per ‘ricordare’ che “l’analisi comparativa del dna svolta in violazione delle regole procedurali prescritte… non ha il carattere di certezza”. Ma soprattutto Semeraro, Narducci e Verola bacchettarono il prelievo non consentito sul bimbo, che comunque era “in conflitto di interesse” perché parte offesa dall’omicidio. E in seguito quando il 12 gennaio Maori chiese al giudice di eseguire un incidente probatorio per l’accertamento del dna allegando tutti i verbali di consegna dei campioni genetici, l’istanza venne rigettata dal giudice che ritenne la perizia non fondamentale per “fare chiarezza su aspetti centrali della vicenda”. Del resto al momento in cui Rosi ha imbracciato il fucile da caccia del padre per sparare i due colpi contro la moglie non poteva essere a conoscenza dell’esito di quei test, ecco perchè secondo i giudici l’esito dell’esame non è rilevante ai fini del processo e non può essere alla base delle valutazioni che determinano la distinzione tra l’omicidio volontario e il delitto d’impeto.