Cronaca

Omicidio Polizzi, il verdetto d’Appello lascia ergastolo per il padre e 18 anni al figlio

Si scioglie in abbracci  e lacrime tra i banchi delle parti civili la tensione di questa lunga giornata di tribunale: Condannati. Padre e figlio Menenti sono stati condannati. Ancora. Poco dopo le 18 di oggi 30 giugno a poco più di tre anni dall’omicidio di Alessandro Polizzi (avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 marzo del 2013), e dopo oltre 4 ore di camera di consiglio, è arrivata la sentenza di secondo grado nei confronti di Riccardo e Valerio Menenti. Ergastolo confermato (con isolamento diurno) per il padre, esecutore materiale dell’omicidio e condanna ridotta a 18 anni per il figlio, considerato il mandante e concorrente materiale, per il quale sono stati esclusi il tentato omicidio di Julia Tosti e l’aggravante della crudeltà.

Ma non c’è gioia negli occhi della madre, del padre e del fratello di Alessandro. Niente potrà riportargli indietro quel ragazzo di 24 anni ucciso barbaramente mentre dormiva nel letto della fidanzata. Lei Julia, che oggi ha preferito non venire in aula e che dal quadro restituito da questo processo ha visto morire tra le sue braccia il ragazzo che le stava ridando una speranza di futuro dopo una relazione tormentata, difficile e pericolosa con il tatuatore violento, ancora nella sua pagina facebook scrive frasi d’amore per il “Guerriero” che non c’è più.

Nella loro composta e fiera dignità in questi lunghi anni di processi i genitori di Alex hanno seguito ogni udienza, ogni fase che potesse portare giustizia a loro figlio, ed oggi sentono solo che un tassello in più è stato aggiunto. Perchè questa sentenza conferma che Alessandro non aveva un pistola. Che Riccardo Menenti l’aveva portata da casa la Beretta 34 del bisnonno di Valerio (arma da poco emerso essere stata data in dotazione all’antenato di Menenti junior quando questi era componente della segreteria politica di Benito Mussolini) e che quindi era partito con la volontà precisa di uccidere e non di “dare una lezione” come aveva detto in aula di recente per “difendere la sua famiglia”.

Difenderla da cosa? dalle botte che per tre volte avevano spedito Valerio in ospedale. Gli avvocati Mattiangeli e Tiraboschi nulla hanno potuto contro un impianto accusatorio granitico verso Riccardo, fatto di testimonianze (anche quella diretta della superstite Julia a cui questa sentenza conferma piena credibilità) di tracce scientifiche, di ricostruzione di spostamenti e di intercettazioni. C’ha provato con passione l’avvocato Manuela Lupo a tirare fuori dal carcere Valerio, in più occasioni ha tentato di scardinare il suo ruolo di mandante  e di complice nell’omicidio, aiutata anche dalla dichiarazione spontanea di Riccardo “ho fatto tutto da solo”. Non è bastato. Per la Corte (presidente Giancarlo Massei), Valerio è colpevole e dovrà passare in carcere i prossimi 18 anni. Ma per l’avvocato Lupo resta l’ultima carta da tentare, quella della Cassazione, per la quale sembra aver iniziato a prepararsi già quando è stata pronunciata l’ultima parola del verdetto, “questa sentenza è una via di mezzo tra colpevolezza e assoluzione che deve essere motivata, attendiamo le motivazioni per predisporre il ricorso”.

(Ha collaborato Cristiana Mapelli)