Omicidio Lucentini, la Procura chiede 30 anni "voleva ucciderlo e ha scelto il momento" - Tuttoggi.info

Omicidio Lucentini, la Procura chiede 30 anni “voleva ucciderlo e ha scelto il momento”

Sara Minciaroni

Omicidio Lucentini, la Procura chiede 30 anni “voleva ucciderlo e ha scelto il momento”

L'accusa chiede dunque che i giudici riconoscano per Emanuele Armeni la premeditazione e anche l'aggravante di aver ucciso un agente in servizio
Mer, 21/06/2017 - 21:33

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La Procura non fa sconti ad Armeni, anzi chiede di più. Una pena più dura per il carabiniere che durante il servizio, proprio al rientro dal turno di notte, ha ucciso il collega Emanuele Lucentini nel piazzale della caserma di Foligno. Come annunciato nel ricorso, la pubblica accusa vuole che Emanuele Armeni sia condannato a 30 anni di reclusione e non a 20, come invece avvenuto in primo grado.

E’ questa la richiesta fatta oggi in udienza dal sostituto procuratore generale, Giuliano Mignini – che in aula è stato affiancato dal pm di Spoleto, Michela Petrini, che si è occupata del caso sin dal primo momento – al termine di circa tre ore di requisitoria dinanzi alla Corte d’assise d’appello di Perugia.  L’udienza doveva iniziare alle dieci di mattina ma, vista l’assenza dell’imputato  – sembra che i suoi legali non sapessero di dover fare richiesta di presenza in aula – è stata sospesa ed è ripresa alle 11.30, dopo l’arrivo di Armeni. L’accusa chiede dunque che i giudici di seconde cure riconoscano la premeditazione e anche l’aggravante di aver ucciso un agente in servizio.

A poco più di due anni dall’omicidio (avvenne il 16 maggio del 2015) sia la Procura che le parti civili hanno impugnato la sentenza del Gup di Spoleto (il primo grado è stato celebrato con il rito abbreviato).  La procura di Spoleto diretta da Alessandro Cannevale aveva già presentato ricorso per Cassazione (non potendo impugnare una sentenza in appello) ma le questioni sollevate dalla magistratura sono state riunite – nell’appello proposto dall’avvocato Michele Montesoro, che assiste il carabiniere condannato – a quelle della Procura Generale.

Ma è nelle motivazioni della sentenza di primo grado che si snodano le ragioni dei dei ricorsi. Perchè il Gup aveva escluso con riscontri tecnici e fattuali che l’arma che ha causato la morte di Emanuele Lucentini possa essersi accidentalmente armata, questo anche in fase di estrazione dall’apposito alloggiamento a bordo dell’auto di servizio –  ha ricostruito la dinamica del delitto mettendo a confronto la tesi accusatoria e quella difensiva con riferimento a tutte le diverse variabili.

Con analisi delle possibili variabili e delle ricostruzioni alternative (compatibilità del bossolo ritrovato sul tettino della Mercedes della vittima; posizione dello sparatore e della vittima; distanza dello sparo, traiettoria intrasomatica, punto di impatto del proiettile sul muro di cinta, altezza e posizione dell’arma al momento dello sparo del colpo mortale, verifica dei risultati degli esperimenti balistici, con particolare riguardo agli andamenti dei bossoli in fase di eiezione dopo l’esplosione dei colpi dalle diverse posizioni ed altezze), per poi analizzare il comportamento dell’imputato immediatamente dopo il delitto (che in maniera sprezzante non si è neanche minimamente avvicinato al Lucentini per verificare quali erano state le conseguenze dello sparo, sapendo di averlo ferito mortalmente da quella breve distanza), giungendo alla conclusione che il colpo esploso dall’imputato nei confronti del Lucentini è stato volontario e consapevolmente letale. Accogliendo quindi solo in parte le richieste del Procuratore Generale (e delle parti civili, familiari della vittima) che contro Armeni aveva formulato l’accusa in questi termini “Per aver cagionato la morte dell’appuntato scelto dell’Arma dei Carabinieri Emanuele Lucentini, agente di polizia giudiziaria impegnato nell’adempimento del servizio, colpendolo alla testa con un proiettile sparato da breve distanza con la pistola mitragliatrice M-12/S2 matr. AA41346- 98, arma in dotazione al NORM della Compagnia Carabinieri di Foligno e assegnata alla vittima, agendo con premeditazione e con abuso dei poteri inerenti una pubblica funzione. In Foligno il 16 maggio 2015”.

E ancora il giudice di primo grado ha escluso l’aggravane della premeditazione, “ritenendo di non essere in grado di sapere quando sarebbe insorta la determinazione di Armeni di uccidere il commilitone”, ma secondo le parti civili – rappresentate dall’avvocato Giuseppe Berellini – la premeditazione consiste proprio nell’avere scelto “il momento più conveniente” per uccidere. Parti civili e accusa sollevano quindi con le stesse richieste sostenendo “la sussistenza dell’omicidio aggravato dalla premeditazione del colpevole”. Tutte questioni che ora evidentemente la pubblica torna a sollevare.


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