E’ trascorso un mese esatto dall’omicidio di Katia Dell’Omarino ma l’assassino continua a non avere un nome. Il mattino del 12 luglio un passante ha trovato, sul greto del torrente Afra a Sansepolcro, il corpo della 41enne, massacrata di botte e poi colpita mortalmente alla testa. Da allora le indagini non si sono mai fermate per raccogliere quanti più elementi possibili, in un caso davvero intricato e sul quale viene mantenuto il più stretto riserbo.
La speranza nel Dna. La traccia più solida in mano agli inquirenti resta il dna di “ignoto 1”, isolato dalla genetista Isabella Spinetti durante un approfondito esame autoptico sul corpo di Katia. Le tracce biologiche, ritrovate principalmente sotto le unghie della donna e corrispondenti a dna maschile di soggetto europeo, sono state confrontate con il dna di svariate persone considerate sospette dagli inquirenti ma, purtroppo, la comparazione non ha dato, almeno per ora, i risultati sperati. Il lavoro in laboratorio, comunque, continua senza sosta: sarebbero stati raccolti altri 100 campioni.
La testimonianza del parroco. Dopo centinaia di testimonianze, in questi giorni, è stato sentito anche Don Francesco Mariucci, parroco di Lama, che, da quanto emerge, sarebbe stata l’ultima persona che Katia avrebbe incontrato prima di salire nell’auto del suo carnefice. Il sacerdote ha infatti raccontato di aver ricevuto, nella notte dell’11 luglio, la visita della donna che, in quell’occasione, avrebbe chiesto dei soldi al religioso, rifiutatosi di lasciarglieli. Poco dopo Don Francesco ha chiamato i carabinieri, gli stessi che hanno poi fermato la 41enne per un controllo mentre era alla guida della sua Citroen C1 rossa nella frazione sangiustinese. Katia, dopo il fermo di routine dei militari, avrebbe quindi proseguito verso San Giustino. Poi al parcheggio delle piscine di Sansepolcro, ha lasciato l’auto e deve avere accettato di salire nella macchina del suo assassino. Non è da escludere, a questo punto, secondo quanto riferito dal religioso, che il movente del delitto possa essere legato ad una questione di soldi.
All’appello mancano ancora l’arma del delitto, pare un oggetto pesante a punta arrotondata, e il telefonino della 41enne, i cui tabulati però non avrebbero rivelato particolari sorprese. L’apparecchio, privo di connessione internet, e di conseguenza di applicazioni come Whatsapp e Facebook, sarebbe ormai spento dal giorno del delitto. L’oggetto più prezioso per gli inquirenti, ritrovato nella Citroen, sembrerebbe quindi essere l’agenda della donna, al cui interno sarebbero trascritti circa 200 nominativi e altrettanti numeri telefonici. Il nome dell’assassino potrebbe essere fra questi. La sensazione, comunque che “ignoto 1” sia già sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti. Ora, però, va trovata la prova decisiva.