(Adnkronos) - A dieci mesi dal femminicidio di Giulia Cecchettin inizia il processo che vede imputato Filippo Turetta. Lo studente 22enne, accusato di omicidio volontario pluriaggravato, occultamento di cadavere, porto d'armi e sequestro di persona rischia l'ergastolo per aver accoltellato a morte l'ex fidanzata la sera dell'11 novembre del 2023. Oggi davanti alla corte d'Assise di Venezia, composta da giudici popolari e presieduta dal togato Stefano Manduzio, l'imputato non ci sarà: resterà nella sua cella, nel carcere veronese di Montorio.
È invece arrivato al Palazzo di giustizia, senza rilasciare dichiarazione, Gino Cecchettin, papà della vittima, che indossa una spilla con l’immagine di Giulia.
Nella piccola aula - ammesse 40 persone, la metà giornalisti, e solo le telecamere della Rai - prenderà il via quello che si preannuncia un processo 'lampo': il pm Andrea Petroni ha presentato una lista di trenta testimoni, uno solo invece il teste della difesa. Gli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera hanno rinunciato all'udienza preliminare, hanno anticipato che non chiederanno la perizia psichiatrica e sostengono la necessità di un processo 'normale' lontano da qualsiasi show.
In un dibattimento dall'esito (quasi) scontato, sulla condanna resta solo l'incognita della premeditazione, ma per la procura gli elementi raccolti lasciano pochi dubbi: l'ex fidanzato controllava Giulia Cecchettin e avrebbe progettato con anticipo il delitto e la fuga. Con sé aveva i coltelli con cui ha colpito la laureanda in Ingegneria biomedica, ma anche scotch e sacchi neri per legarla e poi nasconderla vicino al lago di Barcis, a circa cento chilometri da Vigonovo (Padova), oltre a soldi per la fuga finita (una settimana dopo) in Germania.
Sono 12 in tutto persone ed enti che hanno chiesto di costituirsi, davanti alla corte d’Assise di Venezia: oltre ai familiari della vittima, quattro associazioni di donne che contrastano la violenza di genere, l’associazione Penelope, che ha aiutato la famiglia nei giorni della scomparsa. C'è anche il Comune di Fossó (Venezia) “tristissimo teatro di questa azione”. La richiesta è di un risarcimento per il “danno materiale e morale” e per “poter riscattare la sua immagine: Fossó per settimane è stata una zona industriale con l’asfalto bagnato dal sangue” di Giulia Cecchettin.
Anche il Comune di Vigonovo, dove viveva la studentessa uccisa dall’ex fidanzato, invoca un “danno morale e d’immagine” per “il fervore mediatico di questo terribile femminicidio” e di una cittadina descritta “come una sorta di farwest delinquenziale”. E per questo la cifra “simbolica” è di 15mila euro da impiegare per il contrasto alla violenza di genere. Costituzioni di parti civili a cui si è opposta in parte la difesa. L’avvocato Giovanni Caruso si dice “disorientato” per uno “stuolo così nutrito di parti civili”, non per presenza dei familiari, a cui i legali di Filippo Turetta non si oppone, ma per “la sequela di associazioni ed enti territoriali” che non possono dimostrare, a suo dire, danni immediati e diretti e alla cui presenza si oppone. Ora toccherà ai giudici - la corte si compone oltre che dei togati anche di otto giudici popolari (tre donne) - decidere sulla presenza delle parti civili nel processo.
(Adnkronos) –
A dieci mesi dal femminicidio di Giulia Cecchettin inizia il processo che vede imputato Filippo Turetta. Lo studente 22enne, accusato di omicidio volontario pluriaggravato, occultamento di cadavere, porto d’armi e sequestro di persona rischia l’ergastolo per aver accoltellato a morte l’ex fidanzata la sera dell’11 novembre del 2023. Oggi davanti alla corte d’Assise di Venezia, composta da giudici popolari e presieduta dal togato Stefano Manduzio, l’imputato non ci sarà: resterà nella sua cella, nel carcere veronese di Montorio.
È invece arrivato al Palazzo di giustizia, senza rilasciare dichiarazione, Gino Cecchettin, papà della vittima, che indossa una spilla con l’immagine di Giulia.
Nella piccola aula – ammesse 40 persone, la metà giornalisti, e solo le telecamere della Rai – prenderà il via quello che si preannuncia un processo ‘lampo’: il pm Andrea Petroni ha presentato una lista di trenta testimoni, uno solo invece il teste della difesa. Gli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera hanno rinunciato all’udienza preliminare, hanno anticipato che non chiederanno la perizia psichiatrica e sostengono la necessità di un processo ‘normale’ lontano da qualsiasi show.
In un dibattimento dall’esito (quasi) scontato, sulla condanna resta solo l’incognita della premeditazione, ma per la procura gli elementi raccolti lasciano pochi dubbi: l’ex fidanzato controllava Giulia Cecchettin e avrebbe progettato con anticipo il delitto e la fuga. Con sé aveva i coltelli con cui ha colpito la laureanda in Ingegneria biomedica, ma anche scotch e sacchi neri per legarla e poi nasconderla vicino al lago di Barcis, a circa cento chilometri da Vigonovo (Padova), oltre a soldi per la fuga finita (una settimana dopo) in Germania.
Sono 12 in tutto persone ed enti che hanno chiesto di costituirsi, davanti alla corte d’Assise di Venezia: oltre ai familiari della vittima, quattro associazioni di donne che contrastano la violenza di genere, l’associazione Penelope, che ha aiutato la famiglia nei giorni della scomparsa. C’è anche il Comune di Fossó (Venezia) “tristissimo teatro di questa azione”. La richiesta è di un risarcimento per il “danno materiale e morale” e per “poter riscattare la sua immagine: Fossó per settimane è stata una zona industriale con l’asfalto bagnato dal sangue” di Giulia Cecchettin.
Anche il Comune di Vigonovo, dove viveva la studentessa uccisa dall’ex fidanzato, invoca un “danno morale e d’immagine” per “il fervore mediatico di questo terribile femminicidio” e di una cittadina descritta “come una sorta di farwest delinquenziale”. E per questo la cifra “simbolica” è di 15mila euro da impiegare per il contrasto alla violenza di genere. Costituzioni di parti civili a cui si è opposta in parte la difesa. L’avvocato Giovanni Caruso si dice “disorientato” per uno “stuolo così nutrito di parti civili”, non per presenza dei familiari, a cui i legali di Filippo Turetta non si oppone, ma per “la sequela di associazioni ed enti territoriali” che non possono dimostrare, a suo dire, danni immediati e diretti e alla cui presenza si oppone. Ora toccherà ai giudici – la corte si compone oltre che dei togati anche di otto giudici popolari (tre donne) – decidere sulla presenza delle parti civili nel processo.