Dove si trovavano Raffale Arzu e Pietro Pala il pomeriggio il 30 Gennaio del 2006? Secondo la sentenza di primo grado emessa dalla Corte d’Assise di Perugia il 12 maggio del 2013 i due erano ad Umbertide per tentare di compiere la rapina nella quale è rimasto ucciso il carabiniere trentenne Donato Fezzuoglio. Ora le difese dei due imputati tentato di ribaltare la tesi per la quale i due, oggi presenti in aula per la penultima udienza dell’appello, sono stati condannati entrambi all’ergastolo con isolamento diurno per 18 mesi e risarcimento alle parti civili di un milione e trecento mila euro come provvisionale.
Le richieste. Oggi il procuratore Giuliano Mignini ha fatto le richieste dell’accusa, chiedendo che vengano confermate in pieno le condanne emesse in primo grado. Stesse richieste dalle parte civili. Chiedono invece l’assoluzione le difese e motivano basando tutto sugli alibi dei due imputati. Arzu e Pala non erano ad Umbertide secondo i loro avvocati: il primo era in Sardegna, dove si era dato alla latitanza per altri reati “non c’è un telefonino, non c’è nessun contatto di nessun genere che dimostra uno spostamento di Arzu. Se considerate tutto completamente non potrete che arrivare ad una sentenza di assoluzione che è anche una sentenza di giustizia per la famiglia che ha il diritto di vedere condannati i reali colpevoli”. Per Pala ha parlato l’avvocato Riccardo Marri, sabato mattina terminerà le conclusioni sabato l’avvocato Francesco Falcinelli: “Procura e parti civili hanno iniziato le loro repliche criticando quello che questa difesa aveva rappresentato sulla storia di Pietro Pala. E’ nato a Marsciano cresciuto a Marsciano ha lavorato sempre nell’azienda di famiglia è al di fuori degli ambienti criminosi, non è mai stato coinvolto in procedimenti. Pietro Pala è estraneo a questi fatti, compreso il collegamento con il processo Pam. Abbiamo sentito critiche basate su argomenti suggestivi connotati da congetture. Ho sentito riferire di fatti e circostanze che in realtà non risultato agli atti processuali”. Per la difesa Pala non poteva essere sul luogo della rapina. I tabulati del suo cellulare alle 15.10 di quel giorno lo agganciano a Deruta e le chiamate che sono partite, dirette ad una prostituta ed un trans scelti da un giornale di annunci, starebbero a confermare orari, luoghi e situazioni non compatibili con la rapina.
In questi mesi si sono svolte due udienze, riassumibili in due punti salienti: la deposizione di Sonia Carta, sorella di Ivo Carta, considerato uno dei complici della banda che il 30 gennaio del 2006 mise a segno una rapina ai danni della filiale di Umbertide del Monte dei Paschi di Siena, nella quale alcuni colpi di kalashnikov ferirono a morte il trentenne carabiniere poi insignito della medaglia d’oro al valor militare. Ivo Carta, morto nel 2006 in Sardegna, ucciso da un colpo di fucile, secondo quanto dichiarato in aula dalla sorella nei giorni precedenti la rapina di Umbertide avrebbe raggiunto “il continente” per portarle un’auto. Sarebbe venuto dalla Sardegna per la sorella quindi, e non per compiere una rapina, su questo elemento la difesa punterà per cercare di scalfire l’impianto accusatorio che dai giudici Daniele Cenci e Giuseppe Noviello (a latere) venne invece considerato ben solido, dopo oltre 17 ore di camera di consiglio il 12 maggio del 2013. Altro elemento è quello che riguarda le nuove perizie scientifiche disposte dalla Corte d’appello.
Un campione di Dna è stato prelevato con il suo consenso da Pietro Pala e confrontato con quello di un mozzicone di sigaretta rivenuto in fondo alla scarpata nella zona di Piegaro, dove venne trovata una delle auto usate dai banditi per la fuga. Secondo il professo Giuseppe Novelli, perito noto per aver già lavorato nel processo per l’omicidio Meredith, la traccia sul mozzicone ad oggi non sarebbe più analizzabile, quindi non è stato possibile svolgere un accertamento. Sarebbe invece compatibile, secondo il perito, il dna di Pala con quello isolato sulla stessa sigaretta dagli uomini del Ris di Roma nei giorni del ritrovamento e della repertazione della prova. Secondo la difesa di Pala, condotta dagli avvocati Francesco Falcinelli e Riccardo Marri, questa traccia, peraltro collocata fuori dalla scena del delitto non sarebbe sufficiente a determinare il coinvolgimento del loro assistito nell’omicidio del giovane Fezzuoglio, per il quale il condannato si è sempre dichiarato innocente.
Ma secondo l’accusa, e secondo i giudici che hanno formulato la sentenza di primo grado fu proprio Pala a premere il grilletto: “Va solo precisato che – scrive la corte – con riferimento a Raffale Arzu, la Corte è ben consapevole che il grilletto del kalashnikov che ha colpito alle spalle Donato Fezzuoglio è stato azionato dalla mano di Pietro Pala, così come sa che le rapine delle automobili (usate per la rapina e per la fuga, ndr) non sono state poste in essere da Pietro Pala, che in quel frangente stava scappando a bordo della Thema guidata da Ivo Carta. Deve però ritenersi che l’elemento omicidiario e tutti i fatti nel processo contestati in significativa progressione criminosa (furti d’auto per preparare la rapina; omicidio del carabiniere Fezzuoglio; tentato omicidio del carabiniere Monti; rapine, tentate e consumata, di auto per fuggire; ulteriori furti di auto) vanno del pari imputati a Raffaele Arzu e a Pietro Pala, così come lo sarebbe a tutti i complici rimasti -purtroppo- sino ad oggi sconosciuti(…)”.
Sabato la sentenza. Mancano ormai poche ore alla sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Perugia, sabato mattina si ultimeranno le repliche della difesa e poi la corte, presidente Giancarlo Massei, si ritirerà in camera di consiglio. Per la sentenza di primo grado i giudici Daniele Cenci e Giuseppe Noviello (a latere) si espressero dopo 17 ore di camera di consiglio.