Alfons Gjergji è stato condannato in primo grado al massimo della pena prevista dalla legge italiana. Ergastolo con tre anni di isolamento diurno. Anche più di quanto aveva chiesto l’accusa, che si era limitata a chiedere 18 mesi della misura di isolamento, e invece i giudici Mautone e Narducci ne hanno inflitti all’albese imputato per l’omicidio di Sergio Scoscia e della madre Maria Raffaelli, il doppio.
Oggi davanti alla Corte d’Assise d’appello di Perugia Alfons Gjerji ha però chiesto che l’udienza del suo processo d’appello venisse rinviata poichè il suo difensore, l’avvocato Luca Maori, recentemente colpito da un’interdittiva all’esercizio delle professione di 4 mesi, non avrebbe potuto difenderlo nel processo. La difesa dell’imputato quindi, (Maori è stato sostituito dall’avvocato Aldo Poggioni) ha tentato la strada del rinvio accolta dalla Corte che ha fissato la prossima data al 21 settembre.
Non solo. Pur di avere al proprio fianco il legale che lo ha seguito in tutto il processo, l’imputato Alfons Gjergji ha acconsentito alla sospensione del termine di durata massima della custodia cautelare, che altrimenti sarebbero scaduti il 10 giugno.
L’omicidio di “Cenerente” è considerato uno dei più tremendi fatti di sangue avvenuti a Perugia. La notte tra il 5 e il 6 aprile del 2012, Sergio Scoscia è stato massacrato mentre la madre è morta di stenti. L’ex orafo è morto asfissiato, strangolato dopo esser stato colpito a martellate alla schiena e al volto, con lo stesso martello recuperato dagli inquirenti sul luogo del delitto, abbandonato in bella vista sul letto. Almeno dodici i colpi sferrati, alcuni dei quali inflitti dopo che l’uomo era già a terra, privo di conoscenza. Una violenza inaudita. Svariati colpi che lo hanno devastato, anche al volto. Lasciandolo a terra, riverso nel suo stesso sangue a pochi centimetri dalla madre, Maria Raffaelli, morta in seguito al malore che l’ha colta alla vista del figlio torturato e allo spavento per l’assalto di incredibile violenza. Particolari agghiaccianti illustrati dall’accusa per dare conto del tipo di aggressione che subirono madre e figlio dal gruppo di criminali che “cercavano l’oro”, E che alla fine del massacro si spartirono secondo l’accusa un bottino di poco più di trecento euro a testa.
La Corte d’Assise d’Appello di Perugia nell’ottobre del 2014 aveva già confermato la condanna per gli altri componenti della banda criminale (che chiesero il rito abbreviato): L’ergastolo per Ndrec Laska, reo confesso, il cui dna venne ritrovato sotto l’unghia del cadavere di Sergio Scoscia. Prova che lo incastrò e lo portò ad una condanna all’ergastolo anche in primo grado. La Corte aveva invece ridotto in secondo grado la condanna per il “palo” Artan Gjoka detto Anton dall’ergastolo a 20 anni di reclusione ed ha ridotto infine la condanna a Perdoda Marjana, considerata la mente e basista della rapina, a 4 anni e 6 mesi di reclusione.