Categorie: Cronaca Perugia

Omicidio Cenerente, in aula è il giorno dell’orrore

Sara Minciaroni

Relazioni telefoniche. Sim e Imei di decine e decine di telefoni che sono state passate a setaccio. Un lavoro frenetico e preciso quello con cui gli agenti della squadra mobile guidata da Marco Chiacchiera, insieme ai colleghi della polizia postale hanno inchiodato Ndrek Laska e Artan Gjoka, già condannati con il rito abbreviato all’ergastolo e della basista Marjana Perdoda anche lei già condannata a quattro anni e otto mesi di reclusione.

Il processo. Ma il processo per il duplice omicidio dell’ex orafo Sergio Scoscia e della madre Maria Raffaelli avvenuto nella notte tra il 5 e il 6 aprile del 2012 non è ancora concluso. Questa mattina, 30 gennaio, davanti ai giudici Mautone e Narducci (a latere) della corte d’assise di Perugia si è tenuta la seconda udienza del procedimento a carico di Alfons Gjergji. Per lui il legale Luca Maori (sostituito in aula oggi dall’avvocato Aldo Poggioni) ha scelto la via del rito ordinario, sostenendo che a differenza degli altri, non ci sono tracce genetiche del Gjergji all’interno del casolare della mattanza. Secondo la difesa infatti non ci sarebbero elementi sufficienti per collocare l’imputato sulla scena del “massacro”.

Ammazzati per 300 euro. Questa mattina in aula alla presenza delle parti civili (la famiglia Scoscia assistita dall'avvocato Alessandro Vesi e il Comune di Perugia tutelato dall'avvocato Ghirga, oggi sostituito da Bellucci) sono stati ripercorsi i momenti dell’assalto al casolare degli Scoscia. Il modo con cui il “commando” è entrato in casa passando dalla finestra del bagno. E poi la violenza inaudita con cui Sergio è stato ucciso a martellate. Con svariati colpi che lo hanno devastato, anche al volto. Lasciandolo a terra, riverso nel suo stesso sangue a pochi centimetri dalla madre, morta in seguito al malore che l’ha colta alla vista del figlio torturato e allo spavento per l’assalto di incredibile violenza. Particolari agghiaccianti illustrati alla corte per dare conto del tipo di aggressione che subirono madre e figlio dal gruppo di criminali che “cercavano l’oro”. E che alla fine del massacro si spartirono secondo l’accusa un bottino di poco più di trecento euro a testa.

La matassa delle sim da dipanare. La mattinata in aula ha visto susseguirsi le testimonianze del capo della Mobile, preciso e puntuale nel ricostruire le relazioni tra i condannati e l’imputato e degli ispettori della che si occuparono di indagini capillari e minuziose per risalire ai contatti telefoni della banda. Un lavoro, quello degli inquirenti descritto con l’utilizzo di slide volte a dare la maggior chiarezza possibile dei legami e dei contatti. Un dedalo articolatissimo tra persone che avevano a disposizione anche 9 sim ciascuno di volta in volta inserite in telefoni diversi. Usate secondo l’accusa per ordire il crimine e poi fatte sparire una volta compiuto il delitto. E’ così che la squadra mobile coordinata dal pm Claudio Cicchella è arrivata ad individuare “le belve”. Per i tre condannati il destino è già compiuto. Quello di Gjerji ha ancora un lungo cammino processuale per essere definito. Si torna in aula il 20 febbraio quando altri 8 testimoni verranno sentiti dalla corte.

OMICIDIO CENERENTE, IERI IL SOPRALLUOGO NEL CASOLARE DEL MASSACRO / IN AULA INIZIA IL PROCESSO AL “COMPLICE”

OMICIDIO CENERENTE: A DICEMBRE SI TORNA NEL CASOLARE DEL MASSACRO / SI APRE IL PROCESSO A GJERJI