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Uccisa dal marito a fucilate, il Riesame ha deciso “Rosi resta in carcere”

Niente di quello che la difesa di Francesco Rosi ha portato davanti ai giudice del Riesame è servito per ottenere la scarcerazione del 43enne reo confesso per l’omicidio della moglie Raffaella Presta. Le motivazioni della decisione del collegio composto dai togati Semeraro, Narducci e Verola saranno note tra qualche giorno, ma nel frattempo la famiglia dell’avvocatessa 40enne ha reso noti i nomi del collegio di avvocati che li rappresenterà in questa drammatica vicenda. Si tratta del noto penalista Carlo Federico Grosso e dell’avvocato Marco Brusco che verranno affiancati dai legali Simoni e Galassi. Rosi resta in carcere dunque, guardato a vista dagli agenti in regime di isolamento, in attesa dei prossimi passaggi giudiziari.

Le prove certe e inconfutabili di un tradimento antico e anche di altri  perpetrati nel tempo. Inoltre, quattro punti che dimostrerebbero come i fucili si trovassero sotto il letto della camera matrimoniale della villa di via del Bellocchio da cinque anni. Questo, insieme allo stato psichico dell’assassino reo confesso che in carcere è guardato a vista per evitare che si tolga la vita. Sono gli elementi (alcuni dei quali scegliamo di non approfondire, per evitare che le persone coinvolte paghino un prezzo ancor più doloroso per la tragica vicenda che ha già sconvolto le loro vite), con cui la difesa di Francesco Rosi si è presentata, ieri pomeriggio (15 dicembre) pomeriggio nell’aula del Tribunale del riesame di Perugia per chiedere la scarcerazione dell’assassino dell’avvocato 40enne Raffaella Presta.

Riesame. La richiesta del legale Luca Maori è che l’uxoricida esca dal carcere in attesa del processo e che venga confinato agli arresti domiciliari con l’uso del braccialetto elettronico. Lo chiede perchè sostiene che non sussistano il pericolo di reiterazione del reato, né di inquinamento delle prove o della fuga. I giudici Semeraro, Narducci e Verola dopo un’udienza iniziata alle 15 e terminata dopo le 17 si sono ritirati in camera di consiglio e nella giornata di oggi, 16 dicembre, hanno depositato la loro decisione.

Sull’arma. La doppietta calibro 12 da cui sono partiti i due colpi che hanno ucciso Raffaella Presta, è uno degli elementi cruciali di questa tremenda vicenda che il 25 novembre scorso ha visto consumarsi un delitto tra le mura domestiche di una famiglia della Perugia “bene”. Da dove sia stata presa per sparare e uccidere è l’elemento su cui verte l’ipotesi di un delitto premeditato.

Premeditazione. In aula la difesa ha portato 4 elementi nel tentativo di dimostrare che il fucile era lì, sotto il letto, ad amplificare in maniera irreparabile “il black out di una mente”, come lo ha definito Maori. Punto primo “le dichiarazioni del padre di Rosi, – spiega Maori – l’abbiamo sentito e registrato e abbiamo portato in aula l’audio, dell’uomo che racconta come il figlio avesse appunto preso due fucili e una pistola dalla collezione di famiglia per la difesa dai ladri”. Punto secondo “E’ stato raccontato anche un episodio in cui in una sera in cui avevano sentito il rumore sospetto dei ladri era sceso di casa appunto con il fucile e un vicino lo aveva visto”. Punto terzo, “Poi nel sopralluogo del 10 di dicembre sono stato io stesso – continua Maori – ad effettuare dei filmati riprendendo il sotto del letto che era stato alzato, e c’erano circa 3 o 4 centimetri di polvere ed era visibile proprio l’orma del fucile che era stato preso e quindi non poteva essere stato messo li da poco tempo”. Punto quarto, “C’è poi la testimonianza di una persona amica della famiglia che 3 anni prima era stato a fare dei lavoretti all’interno dell’abitazione dei Rosi e aveva visto diverse banconote sopra un tavolo nella stanza e scherzando aveva detto a Francesco: ‘non hai paura dei ladri’, ‘No. Non ho paura perchè ho i fucili sotto il letto’, ha risposto Rosi e in quell’occasione glieli avrebbe mostrati, come dichiarato dal testimone. Questo sarebbe avvenuto circa tre anni fa”.

Rosi parla e piange. Francesco Rosi, felpa grigia con cappuccio è arrivato in tribunale da un accesso secondario scortato dagli agenti della penitenziaria, coprendosi il volto si è protetto dagli sguardi e dai flash. Ha parlato per quasi un’ora davanti al collegio. Piangendo ogni volta che nominava il figlio “Ho fatto una cosa così grave che in quel momento sono morte due persone, mia moglie ed io…” ha detto ai giudici. Ha parlato del rapporto con Raffaella, di una relazione che arrivava spesso all’uso delle mani tra i litigi frequenti. Ha ammesso la violenza tra le mura di quella bella villa, dove le apparenze avevano ingannato tanti e dove ad un certo punto, in un pomeriggio maledetto, mentre portava il figlioletto a fare il bagno si sarebbe sentito dire dalla moglie “quello non è tuo figlio”. E così avrebbe imbracciato il fucile da caccia, sparando a distanza ravvicinata un colpo che l’ha prima colpita all’inguine e un secondo che le ha trapassato la schiena. “Quello che è successo è una cosa terribile – conclude l’avvocato Maori – gravissima di cui Rosi dovrà rispondere, ma non ci sono ad oggi, le esigenze cautelari perchè lui rimanga in carcere perchè in carcere rischia di morire e di togliersi la vita”.

Secondo la difesa quindi, quello che è successo “è esattamente il frutto di un raptus di follia perpetrato al culmine di una lite e soprattutto al culmine di una situazione di esasperazione totale da parte del Rosi che era continuamente subissato dai tradimenti della moglie e soprattutto in relazione alla questione del figlio. Lui è innamoratissimo del bambino, viveva esclusivamente per questo bambino e sentire quelle parole è stato un qualcosa che ha mandato in black out la sua mente“. Tradimenti che secondo la difesa si possono far risalire a vecchia data e che il Rosi aveva scoperto già da un anno.

Ma i tradimenti, anche se dimostrati con prove inconfutabili non tolgono nulla all’efferatezza di un delitto del quale Rosi si è già dichiarato colpevole. Ne è convinta il pm Valentina Manuali che ha ribadito tutti i punti che l’hanno portata a richiedere la custodia cautelare in carcere del Rosi, già confermata in sede di convalida dal Gip Andrea Claudiani.

Aggiornato alle 18 di mercoledì 16 dicembre.

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