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Omicidi di Cenerente: “La basista”, la sua amicizia con la vittima, il ruolo nella rapina

Sara Minciaroni

Marjana era in Italia da 11 anni, la maggior parte dei quali trascorsi a prostituirsi nella zona del Pantano. Sergio Scoscia lo aveva conosciuto così, la trentenne albanese ora considerata l'elemento chiave nelle indagini per il duplice omicidio di Cenerente. Erano diventati amici, lui l'accompagnava al lavoro la mattina e spesso la riaccompagnava il pomeriggio. Fra loro nessun rapporto sessuale: lei gli offriva i soldi per la benzina e lo aveva anche convinto a comprarsi un telefono cellulare per sentirsi più spesso. Erano andati a sceglierlo insieme a Magione, due mesi circa prima della rapina sfociata nel duplice omicidio. Ed è proprio a quel cellulare che la donna chiama Scoscia la sera del 5 aprile. Ma l'orafo non le risponderà.

La storia – L'ultima volta si erano visti il pomeriggio del 4 aprile: “lui è passato con la sua Alfa, mi disse che stava andando a lavorare” dirà poi la donna agli inquirenti. La donna in un primo momento non dà importanza alle mancate risposte di Sergio e dichiara di aver saputo della sua morte soltanto il 6 aprile al mattino informata da una comune amica, anche lei prostituta. Ed è proprio dai giorni seguenti la scoperta del duplice omicidio che le indagini si concentrano sulla figura di Marjana: viene sentita in Questura, il suo numero è uno dei più frequenti fra le chiamate del cellulare dello Scoscia. Gli inquirenti scoprono rapidamente che nelle versioni delle due prostitute amiche della vittima le donne hanno omesso indizi interessanti. Proprio Marjana aveva nascosto la sua convivenza con il Gioka, ma soprattutto il fatto che questo suo compagno aveva lasciato l'Italia per l'Albania il giorno seguente il duplice delitto. Le due amiche per una ventina di giorni in cui vengono più volte sentite dal Pm mantengono un atteggiamento reticente. Poi iniziano le prime ammissioni, compreso il fatto che la Marjana abbia ospitato a casa sua alcuni amici del fidanzato nei giorni precedenti i fatti di Cenerente. Così la polizia identifica uno degli ospiti: si tratta del Laska, detto Andrea. All'identificazione gli inquirenti arrivano dopo aver recuperato presso la stazione dei carabinieri di Magione un telefono che il Gioka aveva smarrito e che non aveva ritirato dopo il ritrovamento. Nella rubrica di quel cellulare compare il nome ed il numero del Laska. Da ulteriori indagini si scopre che anche il Laska si è imbarcato in un volo per l'Albania il giorno 7 aprile, ovvero la mattina dopo il ritrovamento dei corpi di Scoscia e della madre Maria. Entrambi i biglietti sia quello del Gioka, partito da Sant'Egidio, che del Laska, sono stati acquistati all'ultimo momento, direttamente in aeroporto e con un notevole dispendio rispetto ai costi abituali, elemento che denota la fretta di entrambi di lasciare il paese proprio nel giorno seguente il delitto.

La svolta – Le indagini prendono una piega importante il 28 maggio: Marjana ammette che il Laska è stato nella sua casa fino al 6 aprile e poi al mattino se ne era andato improvvisamente. “Io mi sono svegliata alle 8.30 -dice la donna -. Lui non era più in casa mia. L'ultima volta l'ho visto la sera del 5”. Ma l'ammissione decisiva arriva poco dopo: “mi è venuto il dubbio che fossero stati Anton (Gioka) e Andrea (Laska) ad uccidere Sergio un paio di giorni dopo l'accaduto. Questo è avvenuto perchè frequentando io lo Scoscia ho pensato che loro in qualche modo mi avessero seguito. Quando Sergio mi veniva a prendere in un bar di San Sisto sicuramente Anton vedeva con quale macchina andavo via, cioè l'Alfa33 di Sergio. Inoltre mi è parso strano che Andrea fosse scomparso la notte dell'omicidio e anche che Anton mi inventi continuamente delle scuse per non tornare qui (in Italia ndr) a parlare con voi (gli inquirenti ndr)”.

La confessione – Il 29 maggio ad un nuovo interrogatorio, dopo essere stata formalmente indagata, Marjana ha di fatto confessato il suo coinvolgimento nella rapina commessa ai danni di Sergio Scoscia e della madre. Dichiara di essere stata lei a riferire al fidanzato che lo Scoscia lavorava l'oro e che con il suo amante pensavano di organizzare un furto a casa sua. Gioka le aveva spiegato che il furto lo avrebbero perpetrato lui e dei suoi amici e che il tutto si sarebbe svolto prima di Pasqua. La notte del 5 aprile proprio a casa della donna arriva un terzo uomo, da Roma. Secondo gli inquirenti quell'uomo è Gjergji Alfons, che verrà poi fermato a Roma a bordo di una Ford Focus di colore grigio scuro: una vera e propria “super car” del crimine contenete tutto il necessaire per lo scasso.

Le telefonate – A completare il quadro delle scrupolose quanto difficili indagini degli inquirenti tutta una serie di intercettazioni telefoniche e via internet dei colloqui tra la Marjana ed il fidanzato nei giorni subito seguenti la partenza di quest'ultimo per l'Albania. Da un lato lui all'inizio cerca di tranquillizzare la ragazza, dicendole di non essere complice nel delitto e di “non essere mai entrato in quella casa”. Quindi lei, convinta della sua estraneità ai delitti, gli chiedeva di tornare in Italia per presentarsi agli inquirenti. Ma alle pressioni senza sosta della polizia anche la fiducia nel compagno viene meno, e alle dichiarazioni d'amore si sostituiscono le minacce. “Quando vieni?” dice il Gioka, “io sto impazzendo amore mio, se Dio mi aiuta..ma qui mi hanno messo un po' di brutti pensieri” , e lui “va bene…ma non lo so..comunque, se ti comporti bene, nessuno ti farà niente,se ti comporti male, il diluvio universale”, e ancora più avanti “ma stai attenta, non fare cazzate,te l'ho detto mille volte”.

Internet e skipe erano gli strumenti di comunicazione tra i due amnti. Marjana e il fidanzato, dopo il rientro in Alabania di quest'ultimo, avevano deciso di essere particolarmente attenti nel comunicare. La ragazza utilizzava una utenza conosciuta solo al Gioka e con la quale comunicava solo con lui. Il fidanzato da parte sua impiegava invece un'utenza albanese. Per le conversazioni più delicate avevano scelto di fare uso della rete internet. Gli inquirenti però avevano installato sul computer della donna un programma che dirottava tutti i dati verso le postazioni utilizzate per le intercettazioni. E' proprio in questa fase che, temendo di essere intercettati, il Gioka dice alla donna la frase “vestiti non più bianchi ma macchiati di nero” per farle capire che oramai anche lei è coinvolta e che non può più tirarsi indietro.

L'interrogatorio – La donna sentita questa mattina dal giudice per le indagini preliminari Lidia Brutti ha confermato quanto descritto sin qui. Rimane a piede libero, ma non le sono stati restituiti i documenti necessari per lasciare il paese. Secondo gli inquirenti il suo ruolo nella vicenda è stato marginale, e sarebbe in ogni caso estranea agli omicidi.

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