Da un ammasso di galassie lontano 250 milioni di anni luce ci arriva una nota, un si bemolle continuo un milione di miliardi di volte più basso dei suoni più bassi che l’orecchio umano può percepire. Un simile suono, ormai verificato da strumenti sofisticatissimi, è rappresentabile anche con una immagine che noi tutti conosciamo, la sinusoide del genoma umano. Le sinusoidi di frequenza del suono, posto che la materia è vibrazione, ci indicano allora anche i vari stati dell’anima. Dalla paura e il dolore nelle frequenze basse, alla gioia infinita e la luce assoluta in quelle più alte.
Tutti gli artisti e comunque coloro che “creavano in arte” tra la fine dell’800 e i primi 20 anni del ‘900 si sono ritrovati a fare i conti con il pensiero spirituale e filosofico che indagava e sondava incessantemente lo stato umano e la sua conformazione ed origine.
Inevitabile dunque una riflessione in questo senso nel momento in cui la prima nota di attacco dell’ Oedipus Rex di Igor Stravinskij, potente e imperiosa, quasi si volesse superare d’un colpo l’inifinitamente basso di cui abbiamo scritto poc’anzi, è esattamente un si bemolle minore.
Da questo inizio travolgente dell’opera, eseguita ieri sera 27 giugno in Piazza Duomo, e dai suoi significati di celebrazione rituale, la partitura stravinskijana non si discosterà mai sino alla sua totalizzante conclusione, in cui tutta l’orchestra e il coro sembrano non tenere conto della tonalità. perchè è proprio così che l’autore aveva immaginato il suo lavoro.
E’ lo stesso compositore infatti a dare indicazioni precise perchè l’Oedipus Rex avesse esattamente le caratteristiche di un “rito” a cominciare dal libretto in lingua latina.
La scelta del libretto in Latino, scritto da Jean Cocteau e tradotta poi da Jean Danielou, fu guidata dalla volontà di avere a disposizione una lingua che non fosse parlata quotidianamente e l’idea era proprio legata ad\ suo uso rituale (si pensi alla messa in latino celebrata ben oltre i primi 50 anni del ‘900)
Altrettanto rituale, ed innovativa, è anche l’idea stravinskijana di posizionare i cantanti in scena, in un punto preciso e inamovibili, come immagini o maschere inalterabili, dove gli unici movimenti concessi erano quelli della testa e delle braccia. Una messa in scena molto prossima alla forma del Teatro No giapponese in cui è presente la figura del conferenziere, l’accompagnatore che evoca i destini umani che si compiranno attraverso la musica di li a poco. (Galleria foto: Festival -Hanninen)
Un ruolo coperto con autorevolezza a Spoleto dall’attrice Pauline Cheviller che racchiude in se il Coro di Tebani.
Senza ripercorrere la nota vicenda del classicismo greco di Edipo, Giocasta, Creonte, Tiresia, quello che più interessa nel contesto spoletino del Due Mondi è osservare gli elementi di novità che potrebbero fare di un simile spettacolo un unicum nella programmazione festivaliera.
Per cominciare la straordinaria esecuzione dell’orchestra e Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretti autorevolmente da Pascal Rophè. Un ensemble di grandissimo impatto sonoro che è riuscito a trasmettere questo senso di inalterabilità del contesto musicale, l’abbandono appunto della tonalità, voluto da Stravinskij che lo considerava un materiale inespressivo. Inalterabilità che esplode nella sue contraddizioni (volute) compositive in un finale che dire meraviglioso è poco.
Il canto rotondo ed efficace di Allan Clayton–Edipo, Anna Caterina Antonacci–Giocasta, Andrea Mastroni–Creonte, Mikhail Petrenko–Tiresia, John Irvin– il pastore, che riceveranno alla fine un nutrito applauso del pubblico spoletino.
Nessuna messa in scena, nell’edizione dell’Oedipus di Spoleto64, rispettando in linea di principio il pensiero originale del compositore.
Tuttavia, nel contesto di piazza Duomo e potendo apprezzare i simbolismi della cattedrale, del Caio Melisso e della stessa piazza, non escludendo la tradizione rituale del luogo, si sarebbe potuto optare per una edizione strettamente “letterale”, così come Igor Stravinskij l’aveva pensata.
Ma il pubblico, che è sempre quello che ha ragione del successo o meno di un allestimento, ha gradito moltissimo lo spettacolo, chiudendo così ogni altra discussione. (Galleria foto: Tuttoggi.info- C. Vantaggioli)
In apertura di spettacolo, come una sorta di prologo dalle implicazioni intelletuali e musicali molto forti, sono stati eseguiti i Nocturnes di Claude Debussy
Un trittico sinfonico di grandissimo respiro che ha predisposto la platea all’ascolto successivo grazie, anche in questo caso, alle evidenti tracce di simbolismo, come sganciandosi dal racconto successivo.
E con protagoniste le solite “pettegole” delle rondini di Piazza.