E’ un panino con la mortadella il premio che Anna Maria Giovagnoni chiede al figlio, che è venuto a prenderla all’ospedale militare da dove è stata dimessa, per aver sconfitto, a 80 anni, il Coronavirus.
Intanto, per il pranzo nella sua casa di Solfagnano Parlesca – visto che è stata dimessa verso le 13 – ha ordinato la coda di rospo.
LE DIMISSIONI DALL’OSPEDALE – VIDEO
“Siamo stati trattati veramente bene“, ripete lasciando l’ospedale. E’ felice nonna Anna Maria, tenuta sottobraccio dal figlio. Ringrazia i militari e tutto il personale che si è preso cura di lei e che l’ha aiutata a sconfiggere il virus. Prima per tre giorni al Pronto soccorso di Perugia, quando non c’erano altri posti per i pazienti Covid. Poi all’ospedale militare. Dove, spiega il direttore dell’ospedale militare, il colonnello Gaetano Luigi Nappi, le sono stati somministrati antibiotico, cortisone e tachipirina per la febbre. Oltre naturalmente all’ossigeno, vitale per i pazienti Covid alle prese con improvvise saturazioni.
“Per questa volta ce l’abbiamo fatta”
Anna Maria è riuscita a guarire in tempi record. Non ha più sintomi ed è già negativa, senza necessità di riabilitazione in Covid Hotel. Nella bifamiliare a Solfagnano Parlesca anche la sorella è stata contagiata dal Coronavirus. Entrato in casa, probabilmente, da un anziano parente che le ha fatto visita dopo tanto tempo e che, purtroppo, dopo essersi ammalato, non ce l’ha fatta.
Anna Maria è stata forte. Anche se ancora non potrà abbracciare le nipoti, che l’attendono con ansia per una lunga videochiamata.
“La vita continua – dice col sua accento perugino a proposito del grande pericolo scampato – per questa volta ce l’abbiamo fatta, la prossima si vedrà“.
I giorni nell’ospedale da campo
Nell’ospedale militare da campo nonna Anna Maria è rimasta circa una settimana. Meno di altri pazienti, anche più giovani di qualche decina d’anni, che hanno lottato a lungo o stanno ancora combattendo il Covid. Come testimoniano le autoambulanze che continuano a transitare, con a bordo il personale bardato con tute e dispositivi di protezione.
Lei non ha smaniato per uscire prima dall’ospedale: “Un giorno più o un giorno meno, lo sapevano loro, non è che gli facevo noia” afferma candidamente. Anche perché, riconosce, “siamo stati trattati benissimo dal primo giorno, con il sorriso“.
Il cortisone e la fame
Anche se non ha potuto mangiare quanto avrebbe voluto: “La fame di qui, so bell’e morta. Dice ch’era il cortisone“. Stanotte, l’ultima nella tenda dell’ospedale da campo, si è svegliata alle 3 per placare la fame ha grattato una pera.
Ora, a casa, l’attende la coda di rospo e il suo meritato panino gigante con la mortadella.
(Ha collaborato Mariapiera Simeone)