Tutto era nato nel 2015 da un’indagine fatta da una rivista, “Il test”, che denunciava come l’olio venduto come extravergine d’oliva da parte di alcuni grandi oleifici italiani in realtà non era classificabile come tale, ma sarebbe stato di qualità inferiore. Tra tali oleifici c’era anche l’azienda Pietro Coricelli di Spoleto, finita poi al centro di un’inchiesta della magistratura, quella della Procura di Torino poi trasferita per competenza alla Procura di Spoleto (e conclusa con un’archiviazione). Ora, però, dopo tre anni e mezzo, a ristabilire la verità ci ha pensato il Tar del Lazio, che ha ridefinito i contorni del fatto ed ha annullato la maxi multa da 100mila euro che era stata comminata all’azienda dall’Antitrust nell’estate del 2016 prendendo come riferimento soltanto le prime indagini su un singolo campione di olio da parte dei Nas di Torino.
A non essere qualificabile come extravergine, ma solo come vergine, emerge ora, sarebbe stato infatti solo un campione di olio, sul cui stato di conservazione comunque sarebbero emersi poi dubbi. Mentre altri campioni di uno stesso lotto, così come di altri lotti, erano risultati conformi. Tanto che la Procura spoletina, dopo gli accertamenti compiuti su vari lotti di prodotto, non ha rilevato alcuna anomalia ed ha archiviato l’inchiesta. Mentre l’Autorità garante della concorrenza e del mercato che aveva accusato la Pietro Coricelli di pratica commerciale scorretta multando l’oleificio di Spoleto ora ha perso il contenzioso con quest’ultimo. D’altronde la stessa azienda guidata da Chiara Coricelli nell’estate del 2016 aveva evidenziato la propria tranquillità di fronte alle accuse che le venivano mosse e già allora erano emerse come alcune risultanze dell’inchiesta giornalistica de “Il test” non erano del tutto veritiere.
In data 28 dicembre 2018, quindi, è stata pubblicata la sentenza del Tar del Lazio in merito al ricorso avanzato dall’azienda olearia di Spoleto (difesa dagli avvocati Lorenzo Tizi, Luisa Torchia, Enrico De Martino e Kostandin Peci) contro l’Antitrust, con la quale i giudici hanno annullato la multa da 100mila euro, sancendo che la Pietro Coricelli non aveva messo in atto alcuna pratica commerciale ingannevole. Evidenziano infatti i giudici che “Il ricorso è meritevole di accoglimento, fondandosi l’impugnato provvedimento su unico accertamento, il quale non può ritenersi indice significativo della sussistenza di una pratica commerciale scorretta, consistente nella contestata commercializzazione, da parte della società ricorrente, di “olio vergine di oliva” sotto la denominazione di “olio extravergine di oliva””.
Il Tar osserva quindi come un singolo episodio nel quale l’olio commercializzato risulti non rispondente all’etichetta non indica la sussistenza di una pratica commerciale scorretta, sussistendo invece quando vi siano condotte reiterate. Non solo: non è dimostrabile che il campione era non conforme all’uscita dall’azienda quando invece potrebbe aver perso le sue caratteristiche organolettiche a causa di una cattiva conservazione successiva (il campione in questione era stato infatti prelevato da bottiglie sequestrate in un supermercato di Torino ed analizzato diversi giorni dopo). “Se avesse effettuato delle autonome verifiche – scrivono i giudici – la Autorità avrebbe poi anche avuto l’occasione di accertare che le norme procedurali riguardanti le procedure di analisi dell’olio di oliva sono state in concreto violate: infatti dagli atti del fascicolo del Pubblico Ministero risulta che l’olio è stato sequestrato e campionato il 6 luglio 2015 ed è pervenuto in laboratorio solo il 7 agosto 2015, ovvero dopo un lasso di tempo ben superiore di quello di 5 giorni indicato dall’art. 2, par. 2, del Regolamento CEE 2568/91, tempo durante il quale i campioni potrebbero essere stati custoditi in condizioni non idonee e tali da determinarne la alterazione. L’Autorità non ha poi ritenuto di dover espletare istruttoria per verificare se la Coricelli S.p.A. avesse messo in commercio altri lotti di olio extravergine di oliva con caratteristiche non conformi a quelle richieste da tale denominazione: ciò malgrado la ricorrente avesse fatto presente, in sede procedimentale, che l’olio del lotto 51333000 era stato ritenuto – prima di uscire, imbottigliato, dallo stabilimento – “conforme” da un soggetto accreditato, e malgrado ulteriori analisi eseguite su altri campioni tratti dal lotto 51333000 eseguite su ordine della ricorrente avessero dato esito ad essa favorevole”.
Insomma l’Antitrust non avrebbe operato correttamente nel procedimento culminato con la maximulta, al contrario dell’azienda di Spoleto che appunto nel frattempo è stata prosciolta da ogni accusa dal punto di vista penale ed ora ha anche visto l’annullamento della sanzione.