Nestlé è alla ricerca di 761 figure professionali, da assumere con modalità che vanno dal tempo indeterminato, alla formazione, allo stage, passando per i contratti a tempo determinato. Una notizia che rimbalzata in Umbria ha il sapore della beffa, visto che allo stabilimento Perugina di San Sisto da oltre un anno è aperta una vertenza che “pesa” 364 esuberi.
Le figure richieste. Le figure cercate da Nestlè riguardano un vice boutique manager per la sede di Genova; un industrial controller specialist per la sede di San Pellegrino; uno specialista in contabilità per la sede di Assago, dove serve anche un costumer service specialist. E poi, stage e tirocini, che non vengono quantificati, ma che presumibilmente sono la grande fetta di quei 761 posti di lavoro promessi.
La giovane umbra rifiutata a Benevento. “Annunci simili in questa fase sanno di presa in giro” tuona il rappresentante della Flai Cgil, Michele Greco, uno dei sindacalisti impegnati nel braccio di ferro con i manager della multinazionale per il sito di San Sisto. “Anche perché – prosegue Greco – mi sembra che Nestlé stia mandando chiari segnali di voler andar via dall’Italia in vari settori, non solo nel cioccolato”. E ricorda le varie recenti vendite, fino alla Moretta (Cuneo) ceduta al pastificio Rana lo scorso dicembre.
“Anche nel sito impiegatizio della sede di Assago sono stati conteggiati esuberi – prosegue il rappresentante della Flai Cgil – tant’è che si sta trattando l’attivazione della cassa integrazione. Per contro, si prospettano qua e là stage retribuiti e percorsi formativi. E lavori stagionali sulle acque, come in Toscana per la Panna. In alto mare, invece, le assunzioni promesse a Benevento”. Qui, tra l’altro, una ragazza dipendente dello stabilimento di San Sisto aveva chiesto di poter essere trasferita, pur di avere la certezza di continuare a lavorare, ma è stata scartata per non avrebbe avuto i requisiti necessari.
Servizi, la “guerra tra poveri”. Per lo stabilimento di Perugia, in un anno di vertenza la multinazionale non si è mai mossa da quel fatidico “-364”, che è stato solo scorporato e riarticolato con una serie di controproposte, fino all’ultima di metà gennaio: 150 part time stagionali, 80 ricollocazioni esterne in aziende del territorio, 3 trasferimenti in altri stabilimenti, 54 uscite incentivate concordate. Numeri da cui l’azienda non si è mossa neanche nell’incontro milanese del 5 febbraio, quello che doveva servire a verificare un avvicinamento delle posizioni delle parti in vista del match di ritorno al ministero dello Sviluppo economico (Mise).
Anzi, la situazione è nel frattempo addirittura peggiorata. E non tanto per il questionario distribuito tra i lavoratori per comprendere quanti fossero disponibili al passaggio al part time. Il clima è diventato rovente, dentro e fuori l’azienda, quando si è scoperto che parte delle ricollocazioni prospettate prevedevano il taglio di servizi ora affidati a cooperative locali. Tant’è che il giorno successivo all’incontro milanese, i settori pulizie (Filcams), logistica (Filt) e alimentare (Flai), hanno dovuto fare un vertice per evitare la guerra tra poveri che si stava pericolosamente innescando e ribadire la difesa del lavoro di filiera del sito.
“E’ chiara la strategia della multinazionale che punta a dividere i lavoratori mettendoli gli uni contro gli altri, tenendo un atteggiamento ambiguo e scaricando sugli stessi lavoratori le proprie responsabilità e quindi tutto il peso della vertenza”, la posizione condivisa affidata al segretario generale Cgil Perugia, Filippo Ciavaglia. Il sindacato parla di 50 posti di lavoro “fantasma” a proposito del rilancio fatto dalla Servizi Associati. Ma è evidente che questo tutto questo genera aspettative e sospetti tra i lavoratori, che già avevano guardato in cagnesco i colleghi che, precipitosamente, avevano accettato la proposta di uscita incentivata avanzata dall’azienda.
Cassa integrazione: il 15 si attende il verdetto. La mancanza di un accordo generale sul pacchetto presentato dall’azienda, d’altra parte, non vincola i singoli lavoratori. Che però nel corso delle assemblee che si sono tenute dopo il vertice di gennaio al Mise hanno concordato tutti sulla necessità che la cassa integrazione, in scadenza il 30 giugno, venga prorogata. “Cassa integrazione, quella attuale – sottolinea Greco – che in base all’accordo siglato nel 2016 e nel rispetto della normativa dovrebbe essere a rotazione. Invece l’azienda continua ad utilizzare questo ammortizzatore in modo improprio, discriminando e colpendo quei lavoratori che ritiene in esubero”. In caso di proroga della cigs, questa sarebbe per ricollocazione ed allora l’azienda avrebbe discrezionalità nel decidere chi mettere in cassa e chi far lavorare.
Ma Nestlé Italia continua a non dire con chiarezza se intenda attivare o meno questo strumento che è stato di fatto previsto apposta dal Governo per Perugina, Zanussi ed altre grandi vertenze in atto e sotto la tagliola dell’imminente cessazione degli ammortizzatori. Anche dopo l’incontro di gennaio, i manager Nestlé sostenevano di dover verificare l’applicabilità dello strumento. E questo, mentre il Governo, attraverso il vice ministro Teresa Bellanova, di fatto chiedeva loro di attivarlo. Una situazione paradossale, che sa tanto di melina svizzera. A quale scopo? I lavoratori oggi sarebbero chiamati a scegliere una delle soluzioni loro prospettate sapendo di non avere più alcun paracadute dal 30 giugno. Non è come avere una pistola puntata alla tempia, ma poco ci manca. In caso di proroga della cigs, invece, si può decidere avendo per un altro anno le spalle coperte e, soprattutto, da dentro l’azienda.
L’ultimatum del sindacato. “Noi torniamo al tavolo ministeriale per non dare all’azienda il pretesto di fuggire – chiarisce Greco – ma il 15 Nestlé deve impegnarsi per l’attivazione della cassa a tutela dell’occupazione nelle grandi crisi. Altrimenti si creerà un problema di tenuta all’interno di uno stabilimento dove il clima è diventato pesantissimo. E questo – avverte il responsabile Flai Cgil – lo diciamo all’azienda, ma anche alle Istituzioni. Il 15 – conclude – dovranno dunque dire sì o no alla cassa integrazione”.
C’è chi tifa per la vendita. Non è la soluzione, certo. Ma sarebbe comunque un primo successo, di fronte ad un’azienda che in un anno non ha fatto neanche un piccolo passo indietro rispetto alle proprie posizioni. E consentirebbe di guadagnare tempo prezioso. Ai dipendenti, per poter decidere del proprio futuro senza essere a un passo dal baratro. Ed agli stessi sindacati per capire, nel frattempo, la vera strategia di Nestlé sul cioccolato, in Italia e nel resto d’Europa.
Perché, al di là dei reiterati proclami sul mantenimento dell’impegno ad investire 60 milioni di euro in tre anni e le novità commerciali che hanno interessato il prodotto simbolo, il Bacio, si teme che dall’oggi al domani Nestlé saluti tutti e vada verso altri lidi. Contro questa prospettiva, in molti sperano che Nestlé nel frattempo venda lo stabilimento umbro ad un soggetto solido e credibile, in grado di garantire un futuro stabile alla Perugina.