Associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, disastro ambientale colposo, truffa, frode nelle forniture, inquinamento ambientale, falsità nei registri, abuso d’ufficio e omessa denuncia. Sono questi – a vario titolo – i reati che vengono ipotizzati per i 17 indagati del nuovo troncone di indagini sui rifiuti che il pm antimafia Valentina Manuali sta conducendo ormai da almeno 24 mesi e che nelle scorse ore ha dichiarato concluse, inviando appunto lo specifico avviso all’ “esercito” dei legali difensori degli indagati.
Tra questi spiccano quattro nuovi nomi (oltre a quelli già noti della prima fase) di responsabili di uffici in Arpa (direttore del Dipartimento provinciale di Perugia) e Regione (dirigente responsabile del servizio autorizzazioni ambientali) e Provincia (dirigente del settore ambiente con competenza sui rifiuti) che con ruoli e comportamenti diversi avrebbero in qualche modo agevolato l’azione illecita. Omettendo di denunciare o con atti che in contrasto con i pareri ambientali consentivano il proseguimento di alcune attività.
Un’inchiesta partita nel 2015 quando gli uffici di Gesenu e Tsa sono stati perquisiti con l’acquisizione di centinaia di carte e faldoni, per arrivare fino all’arresto (ai domiciliari) di quello che nelle carte è definito come il dominus, Giuseppe Sassaroli. Fin dall’inizio il quadro ricostruito dal corpo forestale dello Stato e dalla guardia di finanza descriveva presunte attività illecite con ripercussioni sia sull’ambiente che sulle tasche dei cittadini. Tanto da descrivere i Comuni come truffati dall’azienda a cui avevano affidato la gestione dei rifiuti.
Un sistema per arricchire Gesenu, quello che secondo la pubblica accusa sarebbe stato messo in piedi dagli indagati. Trattamenti che venivano pagati dagli Enti ma che in realtà non sarebbero mai stati effettuati, per un danno quantificato, tra quello dei comuni e quello di Tsa (che si avvaleva appunto dei servizi di Gesenu) di circa 25 milioni di euro.