Aveva scritto una lettera al sindaco di Foligno per lamentarsi del comportamento di un agente della polizia municipale della sua città. Per tutta risposta il vigile l’ha denunciata per diffamazione. Una vicenda che è finita in Tribunale e che ora si è conclusa con un giudice che ha riconosciuto ragione al cittadino.
“Atteggiamento di arroganza e prepotenza”. Così, una dipendente comunale di Foligno, aveva descritto il comportamento di un agente della municipale dello stesso ente che le aveva fatto una multa. La definizione usata le era costata una denuncia per diffamazione da parte del vigile urbano, ma ieri mattina la signora – difesa dall’avvocato Donatella Donati – è stata assolta per non aver commesso il fatto.
La dipendente del ‘Parco Colfiorito’ , dopo aver preso una multa perché aveva parcheggiato in corso Cavour durante una manifestazione ciclistica creando intralcio alla circolazione, si era lamentata dell’atteggiamento dell’uomo in divisa con una mail inviata direttamente al sindaco, Nando Mismetti, il quale aveva girato tutto al comandante chiedendo di effettuare dei controlli perché le segnalazioni iniziavano ad essere parecchie. A quel punto, il vigile urbano chiamato in causa, aveva sporto denuncia per diffamazione.
Nella missiva spedita al primo cittadino, la donna aveva tra l’altro scritto: “Caro sindaco, personalmente posso anche assumermi la responsabilità dell’infrazione commessa, anche se la sosta era motivata dal fatto di poter risparmiare ai colleghi di Foligno un viaggio in macchina a Colfiorito a spese dell’Autoparco comunale, comunque ciò non toglie che il vigile abbia assunto un atteggiamento veramente scorretto. Non credo sia giusto trattare in questa maniera le persone. Decida magari di spedire i vigili a un corso di formazione sull’accoglienza e il trattamento del pubblico… C’è modo e modo per svolgere onestamente il proprio dovere”.
L’agente, assistito dall’avvocato Barbara Di Nicola, dal canto suo aveva invece sostenuto di non aver “mai usato toni contrari alla buona educazione” e che quello che la collega affermava per lui era un’offesa a 35 anni di servizio.
Ma il giudice, evidentemente, non deve pensarla come lui.