Di Christian Cursi (*)
“Niente è dunque la morte per noi e non ci riguarda per niente”
Lucrezio De rerum natura III, vv. 830
Ho appreso dai giornali della morte di un Homeless a Spoleto. Lo chiamiamo homeless o clochard perché sembra più accettabile, richiama quasi ad una idea di libertà ed anticonvenzionalità. Un uomo veramente libero anticonvenzionale , fuori dagli schemi, dal consumismo, dal lavoro dalle dipendenze. Forse.
Eppure quando lavoravo a Roma come supervisore e formatore presso l’Help Center nel I binario della Stazione Termini gli operatori mi descrivevano la loro utenza, gli ultimi degli ultimi ovvero pazienti psichiatrici, stranieri con problemi di alcool che puzzavano di strada, di vecchio, di alcool e di piscio.
Persone sole abbandonate e abbandonanti, che continuamente distruggevano i tentativi di aiutarli non perché liberi ma perché alcolisti con spesso comorbilità psichiatriche. Quindi sono inutili le dita puntate contro i servizi che dovevano e potevano aiutarli. E’ semplice indicare che cosa dovevano e potevano evitare gli altri escludendo noi stessi. Allora perché la maggior parte della stampa non ha parlato di alcool?
Non aveva problemi di alcool? Come Vicepresidente Nazionale della A.N.C.A. (associazione nazionale contro l’alcolismo) la domanda mi nasce. E mi nasce non da una conoscenza diretta ma da osservazioni ed esperienza clinica. Non aveva problemi psichici? Sapere che un barbone muore a Spoleto di freddo quasi rasserena. Ci fa pensare che noi che abbiamo un tetto siamo più fortunati e poteva andare peggio. Potrebbe anche uscire delle interviste con i conoscenti o il barista, che magari non sanno assolutamente nulla che dicono che era una bella persona ecc .
Rischiamo di perdere una omertà da parte di una parte dei mass media che per presentare meglio un povero uomo morto di freddo a Spoleto e di non infierire parlando di alcool o di altri problemi. Si rischia di perdere un riflessione che potrebbe invece riguardare altri cittadini di Spoleto. Quanti stanno a casa in cerca di lavoro o in cassa integrazione. Quanti nuovi poveri frequentano la Caritas o bussano ai servizi sociali . Quanti sentono la fatica della ricerca del lavoro. Quanti cercano di provare di affogare i problemi che alcool droghe o scommesse accorgendosi tardivamente che i problemi sanno nuotare .
Perchè se comincio a vedere un uomo comincio a pensare anche alle sue possibilità, alla sua esperienza, ai suoi sentimenti allora nasce speranza. Le fate nascono quando un bimbo ride ci insegnava Peter Pan. Muoiono quando smettiamo di sognare e sperare e diveniamo indifferenti.
Possiamo porre l’attenzione quando un uomo muore su noi stessi su che cosa ho fatto io, su come sto e su che cosa potrei fare per me. Altrimenti è solo la morte di un barbone e non la morte di un uomo come me.
(*) Psicoterapeuta ed esperto forense presso lo studio “MANGROVIA ” di psicologia