Niente scarcerazione e niente domiciliari per Piero Fabbri: il 56enne muratore assisano accusato di omicidio volontario con dolo eventuale per la morte di Davide Piampiano rimane in carcere a Capanne, dove è rinchiuso dal 27 gennaio.
La decisione è arrivata nella prima mattina del 2 febbraio e le motivazioni dovrebbero ricalcare in buona sostanza quelle dell’arresto. Per il giudice, Piero Fabbri, ove non adeguatamente contenuto, “potrebbe reiterare analoghe condotte fraudolente al fine di influenzare i testimoni (quelli sentiti e quelli ancora da sentire) affinché rendano dichiarazioni non genuine“. “Il Biondo” ha confessato solo ciò che non poteva negare, e per il resto continua a fornire, “con freddezza“, una versione “palesemente falsa” e con motivazioni nebulose per alcune delle sue azioni, come lo scarico dell’arma di Piampiano (fatto, a dire di Fabbri, per motivi di sicurezza) e il non chiamare i soccorsi.
Come noto, per l’accusa Piero Fabbri avrebbe inscenato la “fandonia” che Piampiano si fosse sparato da solo, ad esempio scaricando l’arma della vittima e nascondendo il bossolo del colpo (peraltro mai trovato), ma anche la sua arma e il suo giacchetto da caccia, e quindi alterando lo stato dei luoghi e delle armi (come si vede nel video) per “salvare se stesso da possibili conseguenze”, invece di chiamare i soccorsi che avrebbero potuto salvare l’amico che lo implorava di aiutarlo. Un comportamento che il gip riassume in “condotte dolosamente immobiliste, inidonee a procurare l’intervento immediato di chi veramente poteva salvare la vita al giovane, e piuttosto orientate al proprio esclusivo tornaconto personale”.
L’uomo, nell’interrogatorio di garanzia durato circa due ore, ha ammesso di aver sparato: “Era buio, pensavo di sparare a un cinghiale”, la sua versione dei fatti. Sostiene di aver scaricato il fucile del 24enne per sicurezza, mentre le altre azioni che gli inquirenti indicano come un depistaggio per salvarsi la pelle dice sarebbero state intraprese perché, “sconvolto” dall’incidente, aveva vergogna di dover confessare ai genitori che lo consideravano di famiglia – per Davide, Fabbri era come un secondo padre – che aveva sparato, seppur per errore, al loro figlio.
Intanto il Viole Calcio (foto in evidenza) da ieri ha affisso uno striscione nello stadio della frazione assisana in cui gioca la squadra in cui Davide militava da centrocampista. “Un leone, un guerriero, un amico, in campo come nella vita”, la dedica dei compagni di squadra.