Spoleto

Monteluco, patrimonio assoluto dormiente | Quando la testa vaga in tondo e si scorda di essere attaccata al collo

Dopo Ferragosto, ma soprattutto dopo le recenti polemiche sul Bosco di Piazza Garibaldi, i parcheggi, il turismo, il commercio, il Festival e Dio solo sa che altro da infilare nel tormentone eterno della inettitudine, ci viene spontaneo come l’eruzione dell’Etna di trattare un argomentino che tutti fanno sempre finta che non sia alla base di ogni chiacchiericcio di questa landa abbandonata dal Signore ed anche da Belzebù.

In questa città, diversamente detta “del Festival”, non esiste uno studio serio (almeno di livello universitario) che definisca correttamente da cosa è generata la ricchezza che dovrebbe circolare o incrementare il Pil della suddetta grazie ai flussi turistici generati dall’offerta culturale e non (il non sta per quantità e qualità di servizi generabili e fruibili in rapporto all’offerta).

Chi fa, e chi si gira i pollici

E per spiegarci meglio, ricordiamo che nel 2018 la Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, su commissione della Fondazione Umbria Jazz e la collaborazione tecnica dell’Università di Perugia congiuntamente a Unistranieri, produsse un prezioso documento di ricerca sulla effettiva ricchezza economica del Centro Storico generata da Umbria Jazz nel periodo di riferimento. Come si potrà comprendere meglio leggendo il nostro articolo dell’epoca, non fummo particolarmente “morbidi” sulle motivazioni che spingevano in quel momento la produzione di quella ricerca. E ci siamo anche soffermati a criticare qualche passaggio di metodo.

Umbria Jazz crea ricchezza per Perugia | La curiosa scoperta “dell’acqua calda” autocommissionata

Ma indubbiamente abbiamo sempre riconosciuto le buone intenzioni di quel lavoro, oltre l’assoluta necessità di creare un tema di discussione anche sociale e politico (oltre che tecnico- economico) su un argomento che prendeva spunto da una precedente ricerca del 2007 quando Umbria Jazz fu oggetto di uno studio dei professori Bracalente e Ferrucci del dipartimento di Economia dell’Università di Perugia con l’obbiettivo chiarissimo di individuare ed analizzare l’impatto economico del festival nella città di Perugia.

E invece a Spoleto, la città in cui da 67 anni gironzola il Festival dei Due Mondi, e qualche altra realtà notevole come il Lirico Sperimentale (78 edizioni), il CISAM (Centro Studi Alto Medioevo, 71 edizioni), solo per citare le più longeve, tra Fondazioni senza fondamenta, Amici di questo e quello, Friends di Friends che conoscono altri Friends, e qualche Amico del Giaguaro, vestito con la pelle di leopardo per non farsi riconoscere, ci ritroviamo a sentire la qualunque ogniqualvolta si tenta di capire se la città ci guadagna o ci rimette. Il dubbio, in effetti, è che ci guadagni qualcuno e che qualcuno ci rimetta. Ma adesso va a cercare come, chi e perché!! E ce ne fosse uno che dica “visto che di fregnacce ne abbiamo studiate e dette tante, magari proviamo a commissionare qualcosa a qualcuno con la patente va….”.

Ma conosciamo bene la spoletitudine, che va a braccetto con la solitudine. Proprio quella dei numeri primi (quei numeri che sono divisibili solo per se stessi e per zero, ossia che non hanno relazioni con altri). Tutti per uno e tutti gli altri “annassero… do ie pare…”.

Sarà nostra cura, di vecchi tignosi e cocciuti, di trovare il modo di scovare qualche risorsa per la commissione di uno Studio, magari da cittadini illuminati che decidano una volta per tutte di scoprire l’altarino. Ci prendiamo formalmente un impegno pubblico e soprattutto civile.

L’ignoranza presupponente, e il merito di AUR

Lungi da noi prendere una dura posizione su come opera il braccio, se la mente è debole, anche perché ci vorrebbe lo psichiatra in questo caso. Ma appare evidente che anche alcuni preziosi dati come quelli forniti dalle meritorie ricerche di AURAgenzia Umbria Ricerche (vi consigliamo la lettura dei molti lavori presenti nel sito ufficiale, ne rimarrete sorpresi), vengono tranquillamente gettati nel cestino, come inutili manoscritti… scriverebbe F.T.Marinetti.

E invece non dando nulla per scontato, non usando la presupponenza ma preferendo di gran lunga la temperanza, la nostra attenzione si è fermata esattamente il giorno di ferragosto su una ricerchina proprio in AUR, Turismo in Umbria: i numeri della ripresa di Giuseppe Coco, per nulla banale e men che meno ovvia.

Senza entrare nel dettaglio ma citando un paio di passaggi fondamentali della analisi, siamo stati colti da sgranamento oculare nel leggere che ad Assisi il volume delle presenze è pari, nel 2023, a più di un milione e mezzo di persone (1.518.496, mentre nel 2019 era di 1.299.096). E fin qui si potrebbe dire, “e te credo”.

Ma poi arrivano i dati aggregati: i top tre Comprensori per crescita di presenze in termini di variazioni assolute sono: l’Assisano, con un +219 mila; il Perugino con un +122 mila; il Ternano con un +106 mila.

In termini di variazioni percentuali i Comprensori che crescono a doppia cifra sono: l’Amerino (+30,4%), la Valnerina (+20,9%), l’Assisano (+16,9%), lo Spoletino (+16,5%), il Ternano (+15,2%), il Perugino (+10,3%).

E qui scatta il rodimento di sfere celesti con bulbo pilifero. Alla fine della fiera il comprensorio spoletino e lì lì, ad un passo dal differenziale di crescita di quello assisano. E visto che non ci è mai mancata la conoscenza del territorio locale, quella delle iniziative culturali di cui sopra e del patrimonio architettonico, storico-sociale e culturale in nostra dotazione, ci siamo voluti anche regalare una notte intera, madidi di sudore davanti al frigorifero aperto per raffreddare l’incazzatura, per domandarci ancora una volta come sia possibile essere così rimbambiti.

Lo abbiamo scritto e riscritto in questi ultimi anni di onorato servizio, ma è fuori dalla grazia di Dio occuparsi di tutto e manco una sola volta di mettere nero su bianco che il core business di questo nostro territorio spoletino può e deve essere legato a tre percorsi generali e alle loro molte diramazioni: Patrimonio culturale, Patrimonio storico-architettonico e infine Patrimonio spirituale ed ambientale. Se tutta la nostra attenzione e la relativa comunicazione esce da quei percorsi, allora inizia una emorragia di forze e risorse come sempre è stato per decenni alla ricerca di facili consensi in microscopici bacini elettorali fatti di necessità protopersonali quali, un lampione, una buchetta da asfaltare, qualche ramo da tagliare e più di un ripone da sfalciare. Per non parlare dei famosi inevitabili eventi di questo e quello.

Mai abbiamo pensato di riempire prima la bisaccia di risorse costruendo una solida tessitura operativa su valori indiscutibili. Fatto questo, ahivoglia a tagliare rami…

Il caso concreto di Monteluco e di chi si scorda di avere una testa attaccata al collo e la ricchezza in saccoccia

Ancora oggi, essendo noi poveri giornalisti di campagna nati e cresciuti nella sacra montagna, non riusciamo a farci una ragione di come quasi tutti (Politica, Fondazioni, Amici, Friends e compagnia cantante del Circo Barnum) si siano dimenticati di cosa si trova a Monteluco. E visto che sicuramente il Bosco sacro, e tutto il contesto dei siti di eremitaggio, è un potente attrattore, vogliamo cercare di essere calmi e riflessivi nel dire che forse il Convento francescano, presente con alcuni reperti di sicuro ed accertato valore storico, simbolico e spirituale-per chi apprezza la via religiosa o anche la sola ricerca culturale francescana- sono un straordinario dato di fatto, come lo è il celebre detto del Santo, “Nihil Jucundius (vidi) valle mea spoletana”.

Citiamo il Convento non a caso, proprio perché nessuno lo fa mai, mentre ad Assisi si è costruito e si costruisce su questo tema, uno dei luoghi più visitati dell’Umbria e forse anche d’Italia. Non possiamo inoltre dimenticare che nel convento di Monteluco esiste da tempo immemore la scuola di noviziato, altrimenti detta “dei probandi”. Insomma uno dei luoghi più vicini alla dimensione mistica del francescanesimo (il Beato Leopoldo da Gaiche ne scrisse le regole per il “ritiro” dei predicatori). E siccome siamo anche masochisti a tratti, ricordiamo a noi e a qualche lettore distratto che presso la chiesa di San Sabino di Spoleto, Francesco di Bernardone, non ancora santo ma prossimo a partecipare alla quarta Crociata in Terra Santa, ebbe uno dei fondamentali episodi della sua conversione, secondo solo all’episodio del Crocifisso di San Damiano.

Quale maledizione divina ci impedisce di studiare una comunicazione efficace anche su questo, facendo in modo di recuperare relazioni che consentano anche di allargare l’offerta alla città che ha tanto del suo da dare? Troviamo il tempo per discutere se sia meglio un ponte tibetano (Sellano) invece di una zona sul monte sacro, recuperata ad anfiteatro (ex Tiro a volo), quando semmai l’obiettivo dovrebbe essere come valorizzare di corsa e al meglio possibile ciò che si ha pronto, solido e indiscutibile. Ma sempre vince il vecchio, proficuo vizio del benaltrismo e della Dezinformatsiya.

Certamente da noi non si è fermato Giotto a dipingere. Ma Michelangelo Buonarroti sì, per raccontare al Vasari che a Monteluco si era ritemprato. E non ci manca certo altro e allora impariamo una buona volta a valorizzare alla spasimo ciò che è già qui, pronto e funzionante.

Ci permettiamo anche di suggerire di fornire servizi minimamente decenti. In questa stagione del Festival appena trascorsa, in più di una occasione abbiamo avuto modo personalmente di osservare una perniciosa impreparazione e in generale una certa “sufficienza” decadente da parte di qualche operatore. Ma il capitolo “crisi del commercio a Spoleto” merita una trattazione a parte che presto dovremo affrontare, perchè non si cada nel vizio della chiacchieretta da Bar Sport.

Ma soprattutto cerchiamo di capire se e come tutto questo va ad incrementare la ricchezza della città. E non solo di qualche bisaccia. Ci occorre al più presto uno studio serio. Questo è un appello!

E ora, ovviamente, gettateci nel cestino come inutili manoscritti, impenitenti adoratori di Belzebù.