Montefalco rinasce in scena: il teatro che cura l’Anima | Foto e intervista - Tuttoggi.info

Montefalco rinasce in scena: il teatro che cura l’Anima | Foto e intervista

Laura Caldara

Montefalco rinasce in scena: il teatro che cura l’Anima | Foto e intervista

Intervista alla presidente della Pro Loco Montefalco APS, un’associazione no-profit del Terzo Settore che, a due anni dalla sua nascita, è diventata un punto di riferimento per la cultura condivisa
Dom, 29/06/2025 - 08:54

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«Il teatro è poesia che esce da un libro per farsi umana». E’ con questa citazione di Federico García Lorca che riecheggiano le parole di Chiara Broccatelli durante la sua intervista a Tuttoggi.

«Non volevo più restare chiusa in casa: sentivo il bisogno di ricucire i legami che il Covid aveva strappato. Volevo restituire qualcosa al mio paese». Con queste parole apre la sua intervista Chiara.

Quando Chiara Broccatelli parla di quel periodo, lo fa visualizzando un ricordo, ma con una determinazione tranquilla, quella che nasce da decisioni profonde maturate piano piano, proprio in quel triste periodo. Insegnante di lettere al liceo “F. Frezzi – Beata Angela” di Foligno e mamma di un figlio ormai sedicenne e indipendente, all’improvviso si è trovata a fare i conti con un tempo che sembrava dilatarsi. Ma, a differenza di altri, Chiara ha scelto di viverlo pienamente, di dargli un senso, invece che subirlo.

«Avevo tutto: un lavoro stabile, una casa accogliente, un figlio che cresceva bene. Ma sentivo che non bastava più. Avevo un nodo in gola che non se ne andava. Non era tristezza, era una sensazione che nasceva dentro di me, diventando ogni giorno sempre più forte. Il bisogno di non pensare più solo a me stessa, ma di mettere ciò che sapevo al servizio degli altri. Montefalco meritava più del silenzio delle sue piazze e dei discorsi stanchi delle feste comandate»prosegue Chiara con tono deciso.

È da qui che è nata la Pro Loco Montefalco APS, un’associazione no-profit del Terzo Settore che, a due anni dalla sua nascita, è diventata un punto di riferimento per la cultura condivisa. Un luogo di incontri, teatro, parole, emozioni. Un presidio prima umano che culturale, dove la bellezza è diventata un gesto quotidiano.

«Tutti i membri della nostra associazione desideravano che la cultura non fosse più un salotto riservato a pochi, ma uno spazio aperto a tutti», racconta Chiara.

E non è solo un modo di dire. Lei quel “salotto” lo conosce bene.

«Quello degli intellettuali che parlano tra loro, si citano, discutono e si fanno i complimenti a vicenda. Ma oltre quella soglia, chi davvero ascolta? Chi riesce a capire? E chi si sente accolto se non ha le parole giuste? Io volevo costruire una casa senza soglie, dove si potesse entrare anche in silenzio, anche solo per guardare» aggiunge Chiara.

L’esperienza del Covid, obbligandoci all’isolamento, ha fatto emergere con forza una verità: la cultura ha senso solo se aiuta a stare insieme e creare una comunità. Serve a ricucire ciò che la pandemia, e forse anche prima, la solitudine del nostro tempo, aveva spezzato.

«Dopo il lockdown abbiamo cominciato a guardare le persone negli occhi. Non c’era solo timore. C’era anche una mancanza di abitudine: a parlare, a uscire, persino a ridere a voce alta. Abbiamo capito che serviva una scusa nobile per tornare a guardarci negli occhi. E quella scusa poteva essere un libro, un film, il teatro» racconta emozionata.

L’intento non era solo quello di organizzare eventi, ma generare cambiamenti. Piccoli, costanti, destinati duraturi nel tempo e nei cuori di tutti. E ha cominciato lei stessa:
«Abbiamo bussato a una porta che da tempo nessuno apriva più, quella del Teatro San Filippo Neri. Un piccolo scrigno rimasto chiuso per anni, dimenticato, coperto di polvere e silenzio. “Se lui può tornare a vivere, forse possiamo farlo anche noi”» spiega orgogliosa Chiara.

E così è stato. Oggi quel teatro è tornato ad accendersi di voci, risate, emozioni e, anche, di paure superate. Come quella di un uomo di 38 anni che, al primo incontro, non riusciva nemmeno a dire il suo nome.

«L’ho visto sbocciare sul palco, raccontarsi, farsi ascoltare. È stato in quel momento che ho capito che stavamo facendo qualcosa di profondamente giusto» ricorda emozionata.

Perché in fondo, il vero obiettivo di Chiara e della Pro Loco Montefalco non era solo diffondere cultura. Era prendersi cura della fragilità attraverso la bellezza. Dare voce, tempo e spazio a quel bisogno che tutti abbiamo: essere ascoltati, senza sentirci giudicati. E se tutto questo oggi accade a Montefalco, è anche merito di persone che hanno scelto di non chiudere la porta dietro di sé, ma di spalancarla per gli altri.

Il cuore di questo sogno condiviso batte tra le antiche pietre del Teatro San Filippo Neri, un piccolo gioiello che si affaccia alla piazza dove Montefalco si apre al cielo e il silenzio diventa quasi sacro. Dopo il terremoto il teatro pur restaurato era rimasto chiuso, silenzioso, dimenticato, come un libro lasciato a metà. Ma Chiara, da tempo, lo osservava con occhi diversi, come una promessa ancora da realizzare che poteva riprendere vita.

«Lì dentro c’erano le voci che avevamo perso, i sogni messi in pausa, la voglia di stare insieme. Bastava riaccendere la luce e lasciare che la vita entrasse di nuovo», racconta con quella sua voce gentile e decisa. E la vita, a Montefalco, ha davvero ricominciato a entrare da quella porta.

Tutto è iniziato con discrezione, quasi in punta di piedi, con quattro laboratori teatrali: due per bambini, uno per adolescenti e uno per adulti. Ma presto il palco si è riempito di risate, passi timidi, cuori che battevano forte. «All’inizio c’era chi tremava solo a dire il proprio nome. Ma poi qualcosa cambiava. Il teatro fa questo: ti rimette in contatto con te stesso», dice Chiara.

Non ci sono copioni fissi, né ruoli decisi a priori. «Scriviamo tutto insieme. Ognuno porta con sé una parte di sé, anche quella che non aveva mai avuto il coraggio di mostrare» spiega con orgoglio.

È questo che trasforma il laboratorio in qualcosa di più di un’esperienza teatrale. E’ un cammino autentico, umano, in cui ogni parola nasce da una voce vera.

Nel primo anno hanno portato in scena quattro restituzioni finali. Ogni spettacolo, ogni applauso, era un ponte tra chi stava sul palco e chi ascoltava in platea. E l’anno successivo? Ancora maggiore partecipazione del pubblico. Perché quando qualcosa tocca il cuore, il cuore chiama altri cuori. Non serve essere attori. Basta il desiderio di esserci. E la fiducia che, a Montefalco, qualcuno ci sarà per ascoltarti davvero.

Due stagioni fa, in un teatro che profumava insieme di passato e di rinascita, un gruppo di persone ha deciso di sfidare il tempo. Hanno preso Dante, il più grande dei classici, e lo hanno portato tra le strade e le vigne del loro paese. Così è nato «L’Inferno di Montefalco», una riscrittura collettiva in dialetto umbro, dove non c’era un solo Dante, ma tanti. Tanti volti, tante voci, tanti passi dentro lo stesso cammino.

«È stato un atto d’amore», racconta Chiara Broccatelli. E lo si capisce subito che è stato davvero così. Un amore per la letteratura, certo. Ma anche e soprattutto per le persone, che grazie a quelle parole si sono sentite parte di qualcosa di più grande.

Quella sera non c’era un solo posto libero. Le panche piene, le finestre spalancate, qualcuno in piedi, altri seduti per terra. Tutti con gli occhi pieni di emozione, a ridere e pensare insieme. Perché quando Dante parla con la voce della tua terra, smette di essere lontano: diventa uno di noi.

Coinvolti da quell’entusiasmo e spinti da un’energia collettiva che non si spegneva, Chiara e i suoi compagni di viaggio hanno deciso di puntare ancora più in alto. Così, nel 2024, è nata la prima rassegna teatrale ufficiale di Montefalco.

Un appuntamento che ha portato sul palco compagnie provenienti da tutta l’Umbria, creando un intreccio di storie, voci e emozioni che ha arricchito l’anima del borgo. Ma non si sono fermati lì. Perché per Chiara la cultura non è fatta solo di sipari che si alzano o applausi finali. È qualcosa che si insinua nei piccoli gesti di ogni giorno, come il profumo del mosto nelle cantine o il vento che accarezza le vigne. Così sono nati gli Aperitivi Letterari: un bicchiere di vino rosso, letture ad alta voce, dialoghi semplici e profondi. Nessuno escluso, nessuno fuori posto. «Anche le domande che sembrano più “semplici” sono preziose», dice Chiara, «perché la cultura non si misura con il sapere, ma con il coraggio di mettersi in gioco».

E poi il Cineforum, con quattro appuntamenti, l’ultimo dei quali ha lasciato un segno importante: C’è ancora domani, preceduto da un acceso confronto sulla parità di genere. 140 persone riunite in un pomeriggio d’inizio estate, non per distrarsi dalla realtà, ma per affrontarla insieme, guardandola negli occhi.

«Se ci fosse stato solo il convegno, non sarebbe bastato», ammette Chiara. «Ma un film ti prende per mano. Ti emoziona, ti mette a nudo. E allora puoi davvero ascoltare».

E poi è arrivato Dante in piazza. Una sera d’agosto, la piazza piena e avvolta nel silenzio. Sul palco, il professor Guglielmo Tini, docente di lettere a Foligno, recita la Divina Commedia con una passione intensa, sincera. Non è un attore, né un “esperto”, ma un uomo che ama profondamente le parole e sa trasmettere questo amore. Accanto a lui, un pianista accompagna i versi. Di fronte, 350 persone ferme, emozionate, rapite. E Dante, ancora una volta, prende vita: diventa corpo e voce, emozione e presenza.

«La cultura deve essere un dono, non un trofeo», ripete spesso Chiara.

E in serate come questa, nei laboratori, tra i libri letti ad alta voce e gli applausi che si trasformano in abbracci, quel dono si rinnova. Diventa pane da condividere. Diventa casa.

Il domani? Chiara non lo immagina come un’ipotesi incerta, ma come una promessa concreta. E quando ne parla, sembra già vederlo ben definito davanti a sé, come una scenografia pronta ad animarsi. L’obiettivo è chiaro: rendere i laboratori teatrali, la rassegna e il cineforum eventi annuali, appuntamenti fissi, attesi e amati. Radici che si intrecciano sempre più con la vita del borgo. Ma c’è anche un sogno più grande, che pulsa forte e prende la forma di un grande evento a cielo aperto.

«Immaginate Montefalco trasformata in un palcoscenico diffuso. Le sue strade medievali, le piazze, le scalinate illuminate dai riflettori, i vicoli pieni di racconti, musica, personaggi in costume. Uno spettacolo corale che celebri la nostra identità e la nostra storia. Penso a figure e simboli che ci appartengono. E poi note che si perdono nell’aria calda di giugno, risate sotto gli archi, parole che si intrecciano ai profumi del vino.

«Vogliamo che il borgo diventi un abbraccio fatto di pietra e poesia» procede Chiara.

Non uno spettacolo da guardare, ma da vivere, da costruire insieme. Serviranno mani, idee, persone. Serviranno volontari, sponsor, ma soprattutto spettatori curiosi, anime desiderose di sentirsi parte, anche solo per un giorno, di qualcosa di più grande.

Chiara lo dice con quella forza gentile che conquista senza rumore perchè ci crede come ci credono gli altri membri del Direttivo.

«Non importa da dove vieni. Qui, sul palco, troverai il coraggio di dire “io ci sono”», sussurra. Perché come recitava Émile Henriot in una sua citazione famosa: «La cultura è ciò che resta quando tutto il resto è stato dimenticato».

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