di Carlo Ceraso e Sara Cipriani
“Sì vorrei rubarla, vorrei rubare quello che mi apparteneva…iI custode parigino, che spiava le bambine dell’asilo, ora ha la bocca piena di biglietti del museo…Monna Lisa, Monna Lisa…”. L’indimenticato Ivan Graziani compose Monna Lisa nel 1978 per raccontare le gesta dell’ex custode del Louvre, Vincenzo Peruggia, che 70 anni prima aveva rubato la Gioconda convinto dovesse appartenere all’Italia; più che un furfante era probabilmente malato della sindrome di Stendhal visto che la tenne per due anni nella propria cucina prima di provare a ‘regalarla’ all’Italia venendo arrestato. Probabilmente il cantautore non conosceva la storia della Biga di Monteleone di Spoleto, trafugata dall’Italia nel 1902, più precisamente dalla Valnerina, e detenuta illecitamente (quanto meno senza un titolo di proprietà dichiarato) dal Metropolitan Museum di New York. A Graziani sarebbe infatti bastato cambiare un paio di parole (‘parigino’ con ‘americano’, “monna Lisa” con “monna Biga”) e il testo avrebbe raccontato la rabbia di un popolo spogliato di un bene tanto raro, la follia di intere generazioni di politicanti e governicchi incapaci di pretenderne la restituzione.
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Un sussulto di orgoglio, dopo decenni di silenzio – a parte un qualche clamore nei mesi successivi al ‘furto’ che produsse comunque documenti inequivocabili su come andarono i fatti – ci fu agli inizi del nuovo millennio quando, sotto l’illuminata guida del sindaco di Monteleone di Spoleto, Nando Durastanti, sostenuto dall’avvocato italo-americano Tito Mazzetta e dall’avvocato del foro di Spoleto Iolanda Caponecchi, che avviarono un percorso giuridico-giudiziario per sensibilizzare il Paese. Con scarni risultati, visto che il Mibac dell’allora ministro Francesco Rutelli, coerente (si fa per dire) con predecessori e successori (Urbani, Bondi, etc.), nulla fece per inserire la Biga nell’elenco delle Opere trafugate dall’Italia.
Se sul fronte giudiziario non si poteva ottenere molto (evidente l’intervenuta prescrizione su reati commessi cento anni prima), l’iniziativa mise spalle al muro il Met costretto ad ammettere di non essere in possesso di alcun titolo di proprietà della Biga. Nonostante sul sito del museo, con buona faccia tosta, compaia la scritta che il carro e alcuni arredi della tomba etrusca “were purchased in 1903 by General Luigi Palma di Cesnola, the first director of The Metropolitan Museum of Art” ossia “sono stati acquistati nel 1903 dal generale Palma di Cesnola, primo direttore del Museo“: se realmente fosse stato il direttore del Met ad acquistarli, l’atto di vendita sarebbe ancora nell’archivio museale, o no? Le cose invece andarono diversamente.
Più amara la risposta sul fronte istituzionale dove – nonostante la presa di posizione di Regione Umbria, Provincia di Perugia e decine di comuni, anche americani – c’è stato chi, ancora nel 2007, ha confuso le acque, volontariamente o involontariamente. Come mai così tanta riverenza nei confronti del Metropolitan? Quali interessi si nascondono dietro al “Golden Charriot” (carro d’oro, e se gli americani lo chiamano così un motivo ci sarà…)?
J.P. Morgan, la Biga e il Piviale di Ascoli – Certo J.P. Morgan, al quale si addebita l’illecito acquisto, aveva affinato un sistema per evitare che fosse messa in dubbio la buona fede del Museo: la biga, come altri beni trafugati dall’Italia, spesso su commissione, venivano infatti acquistati da facoltosi ‘terzi’ che poi li donavano al museo americano. D’altra parte Morgan, il “barone ladro” (copyright dei media statunitensi), fondatore della banca d’affari internazionale – i cui eredi, oggi, tentano di mettere bocca persino sulla nostra Costituzione – era rimasto scottato dal trafugamento dei paramenti sacri di Ascoli, guarda la coincidenza proprio nel 1902, quando sparì la biga: in quel caso la forte pressione diplomatica del governo Zanardelli, congiunta a una inchiesta giudiziaria che lo sfiorò appena, costrinse il potente uomo d’affari a restituire pochi mesi dopo alla città, ma sotto forma di ‘donazione’, guarda le coincidenze, il prezioso piviale. Per riconoscenza – bravi come siamo quando indossiamo i panni degli italioti (per italiani-idioti) – il comune marchigiano gli conferì la cittadinanza onoraria, una medaglia celebrativa e, alla sua morte, pure un busto. Olè. Non va dimenticato che in quegli anni Morgan aveva acquistato una vasta area in prossimità della Porta San Pancrazio a Roma dove aveva fondato l’American Accademy in Rome (arricchita poi del lascito della signora Heyland di Villa Aurelia). Legato ai Savoia, sostenne negli anni il Regno – l’omonima banca anche dopo la sua morte – con alcuni prestiti multimilionari. Poteva tutto questo bastare a comprare il ‘silenzio’ per il trafugamento della biga? Probabilmente sì. Altrimenti non si spiegherebbe l’inerzia delle istituzioni dell’epoca, anche quelle inquirenti che, nonostante un’apparente, frenetica attività di ricerca della biga, non mossero un solo dito nei confronti di chi aveva venduto e mediato le successive vendite del carro d’oro.
E non si continui la favola del “vuoto legislativo” che ne poteva in qualche modo legittimare la vendita: è vero che il Regno d’Italia per decenni non si dotò di norme a tutela dei beni artistici e archeologici, ma è altrettanto vero che fino al giugno 1902, ovvero alla emanazione della Legge Nasi relativa alla inalienabilità dei beni pubblici e al diritto di prelazione dello Stato sulle vendite private (emanata poche settimane dopo la vendita della Biga), tutti i Governi si richiamarono all’Editto del Cardinal Pacca (1820) imponendone l’applicazione. Anche per il ‘caso’ della biga, che combacia ahinoi con la fine del periodo “buio”, cominciato con il Regno di Sardegna, durante il quale la Penisola rimase senza una chiara e definita politica delle arti: lo ha ben scritto Simone Verde nel recentissimo “Cultura senza Capitale. Storia e tradimento di un’idea italiana” (“I Nodi” Marsilio) con il quale, ricostruita l’invenzione tutta italiana di politica al servizio della cultura e il suo successivo tradimento, propone la nascita di “un’infrastruttura nazionale che, partendo da una Capitale all’altezza di Parigi, Washington o Londra, restituisca alla cultura la sua utilità e la sua ragione d’essere”. Ma torniamo alla nostra vicenda. Dopo un qualche clamore mediatico successivo all’annuncio dell’esposizione della Biga al Met (1903), del pregevole reperto non si parlò più. A Monteleone e all’Italia resta solo il contentino di una replica, opera realizzata negli anni ’80 dagli allievi del maestro Manzù che fa bella mostra nella cittadina umbra: di qualche valore artistico, sicuramente, ma sempre una ‘patacca’ sotto il profilo storico e archeologico.
La beffa dopo il danno – Mentre tutti pensavano che la vertenza fosse ancora in atto, nella consapevolezza che battaglie simili si possono vincere solo nel medio-lungo periodo – il Carlos Museum di Atlanta, per esempio, ha restituito all’Egitto la mummia di Ramses I nel 2004, dopo averla tenuta per 173 anni; il Museum of Fine Arts di Boston ha riconsegnato nel 2010 al Museo diocesano di Trento, 50 anni dopo l’acquisto, un pregevole ricamo basso medievale disperso durante la seconda guerra mondiale -, ecco che si registra la ferita moralmente più profonda, una sorta di barzelletta tutta italiana. Qualche giorno fa, infatti, il sindaco di Monteleone, Marisa Angelini, ha concesso in prestito fino al prossimo 13 ottobre la biga “patacca” al castello di Postignano (borgo di proprietà privata, incastonato nel comune di Sellano) ricevendo per l’occasione il patrocinio delle massime istituzioni umbre. Con tanto di convegno, ad anticipare il taglio del nastro, per raccontare lo smontaggio e il corretto rimontaggio del carro (tanto bravi gli esperti del Met, che per un secolo lo avevano montato maldestramente), commissionato tra il 2002 e il 2006 alla esperta del CNR Adriana Emiliozzi. Fin qui nulla di male. Ci sarebbe piaciuto chiedere alla Emiliozzi come si è sentita, da italiana, a lavorare su un bene trafugato dal suo Paese; purtroppo però l’insigne archeologa non ha partecipato al convegno a causa di impegni familiari.
Ma la cosa davvero clamorosa, nell’invito pervenutoci dall’ufficio stampa che ha curato l’evento e nei manifesti ufficiali, sono i ringraziamenti al Metropolitan per aver “gentilmente concesso le immagini della biga” (testuale) utilizzate per realizzare un ologramma presentato in anteprima a Postignano. Da non credere. Dopo il danno, pure la beffa: vuoi mettere la soddisfazione ad avere il carro falso ma, nientepopodimenoche l’ologramma del ‘golden charriot’?
Desiderosi di capire meglio, partecipiamo alla conferenza stampa ma, terminato l’intervento dei relatori, nessuno dei quali ha fatto il benché minimo accenno al trafugamento, non ci viene consentito di fare domande. Una imbarazzata funzionaria della Regione, mandata in rappresentanza dell’assessore Bracco, ci dice all’esterno della sala che “dal punto di vista tecnico non sarebbe corretto continuare a richiedere la restituzione del carro” (sigh, n.d.r.) anche se poi si affretta a precisare che la sua è una “valutazione personale, non parlo certo a nome dell’amministrazione”.
Quando le idee “maturano” – A sorprendere di più però è l’atteggiamento dell’attuale sindaco di Monteleone, la dottoressa Angelini, fino a poco tempo fa acerrima “nemica” del Met, Prima condottiera di tante battaglie, incluse le manifestazioni di protesta sotto il palazzo del Mibac. Ma che oggi sembra aver cambiato completamente appartenenza. “In questi anni ho maturato l’idea che l’arte è un bene universale, appartiene a tutti. Lì a New York c’è la possibilità che la Biga venga vista da molti più visitatori”. Patapumfete! Detto da una giovane ci potrebbe anche stare, ma per una sessantenne che fino a sette anni fa chiamava allo sciopero di piazza la propria comunità, l’idea di aver “maturato” un’altra visione non convince molto. Nell’intervista rilasciata a Tuttoggi il sindaco, a dir il vero un po’ impacciata, aggiunge “mi auguro che la Biga, che è già in una posizione splendida (sigh, n.d.r.), possa in futuro uscire dal padiglione greco-romano e il Met possa farla vedere a tutto il mondo”. Come a dire, accontentiamoci di un prestito una tantum.
Nel 2007, la ex paladina della Biga ricopriva l’incarico di assessore alla cultura nella giunta Durastanti. Sentite cosa scriveva il 15 aprile di quell’anno. “Aridateci la Biga! urla la gente di Monteleone” comincia così il comunicato dell’ex assessora che, dopo aver ripercorso in sintesi la storia, continua: “…lo scontro tra David e Golia appassiona l’opinione pubblica americana. I giornali più autorevoli, come il New York Times e il Wall Street Journal hanno preso posizione a favore di Monteleone (di Spoleto, n.d.r.) contro il Met ladrone”. Dunque anche i media e l’opinione pubblica americana è con il piccolo comune umbro. Ma non è tutto, continuiamo a leggere: “Il comune di Monteleone, di fronte all’indifferenza delle autorità competenti, ha deciso di organizzare una contro-Offesa per il 20 aprile: nelle vie del paese ogni negozio abbasserà le serrande in segno di protesta….tutti si porteranno a Roma per protestare sotto le autorevoli finestre del Ministro Francesco Rutelli e dei suoi Consiglieri Settis e Berger. Lo Stato Italiano in 105 anni non ha mai richiesto la Biga, inestimabile ed unico reperto archeologico esistente al mondo. La Biga deve tornare in Italia insieme a tutti gli oggetti trafugati ingiustamente ed illegalmente. Per le cause di giustizia i termini temporali e morali non scadono mai!”. Indubbiamente la Angelini ha sottovalutato la propria “data di scadenza”, visto che oggi, nei panni di Primo cittadino di Monteleone, sembra chiamarsi fuori dalla partita. Arrivando addirittura a ringraziare il ‘ladrone’ per quattro scatti concessi per un ologramma che non rappresenta neanche il “golden charriot”, bensì la sua sola struttura lignea (come si vede nella photogallery). Insomma, un carretto. Tanto valeva realizzarlo sulla base della Biga degli allievi del Manzù; ci si sarebbe risparmiati qualche sgradevole salamelecco nei confronti del museo a stelle e strisce.
L’appello – Tuttoggi.info ha deciso di non far cadere nel dimenticatoio la battaglia intrapresa fin qui da tanti umbri e dalle massime istituzioni che si sono nel tempo susseguite. Per questo, a partire da domani, in due puntate, verrà ricostruita la storia del trafugamento sulla base anche del prezioso carteggio contenuto nel libro di Luigi Carbonetti “La biga di Monteleone di Spoleto. Il trafugamento nei carteggi segreti tra menzogne e verità” (Ed. Artemide, Arte e cataloghi) come pure di interviste esclusive all’avvocato Tito Mazzetta e a Carlo Vannozzi, nipote di Isidoro, il contadino che ritrovò il carro “d’oro”. Subito dopo partirà da queste colonne una petizione on line affinché la Biga venga inserita nella lista dei beni trafugati dall’Italia e da lì possa ripartire una richiesta di rimpatrio. Perchè la Biga, prima ancora che a Monteleone di Spoleto, appartiene all’Italia. Una iniziativa, quella di Tuttoggi, per capire anche cosa ne pensano al riguardo gli attuali amministratori umbri e lo stesso premier Matteo Renzi e quali iniziative pensano di mettere in campo. Non di meno l’attuale titolare del dicastero di via del Collegio romano, il ministro Dario Franceschini, che di professione è un affermato avvocato civilista, cassazionista, già assessore alla cultura di Ferrara: un eccellente mix di uomo di legge, appassionato politico e amministratore di beni culturali, municipali e nazionali, da cui dipende la Commissione che già una volta ha rigettato l’iscrizione del carro nella lista dei beni trafugati dall’Italia. Sarà l’uomo giusto al posto giusto? Vedremo. Sarà un altro buco nell’acqua? Idem. Fedeli all’idea che per le “cause di giustizia i termini non scadono mai”, ci piacerebbe non canticchiare più “Monna Biga” ma tornare al testo originale della bella e rabbiosa “Monna Lisa”.
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(nella photogallery di Tuttoggi.info il Castello di Postignano, alcuni momenti del convegno, il taglio del nastro, il manifesto con i ringraziamenti al Met, l’ologramma della Biga, il carro degli allievi del Manzù esposto a Postignano e nella sede originaria di Monteleone).
L’INCHIESTA (con video, interviste e documenti)