Alessia Chiriatti e Sara Cipriani
Manuela Vena è tornata: il suo viaggio in Medio Oriente, verso Antakia, al confine tra Turchia e Siria, ha avuto l'esito sperato. Con lei e con NATI NUDI, il progetto di Fidem, le tutine e il latte in polvere hanno raggiunto la loro destinazione, e sono ora nelle mani dei bambini siriani profughi, vittime di una guerra che loro, di certo, non vogliono e non combattono.
Manuela è partita il 3 di dicembre da Roma: il primo contatto lo ha avuto con Sister Barbara. Tra le mille difficoltà di una terra che in parte sfrutta a suo vantaggio ciò che rimane dalle macerie di un conflitto sanguinoso, trova amici e alleati. Chi avrebbe dovuto accoglierla in realtà non c'è: i suoi tre contatti, intercettati attraverso due attiviste italiane, non avevano fatto rientro. Ma la rete si attiva, e Sister Barbara le presenta il suo nuovo interlocutore: è Luis, un cooperante spagnolo, che la metterà poi in collegamento con Marc, di una ONG francese. Così si dirigono verso il confine, là dove “non vige il diritto”. E comprende subito che una parte della sua missione, ossia quella di trovare il latte in polvere a un prezzo onesto non sarà così semplice: i mercenari delle zone di confine lì vivono anche di questo, facendo lievitare nei supermercati il costo dei beni primari. Lì non ci sono buoni e cattivi: lì c'è solo chi guarda al denaro, e svende le vite degli altri. Ma Manuela riesce a trovare il canale giusto e ad acquistare quanto può per i bambini.
“Sono ad Antakya da due giorni” – racconta nel suo diario. – “Tutto scorre confermando la fama della cittadina storicamente preposta al dialogo tra fedi e culture. Mi è facile distinguere due frange linguistiche: quella turca da quella araba. Anche gli abiti svelano un dualismo che (mi viene spiegato) è stato accentuato dal conflitto in corso in Siria: le donne velate e i mendicanti di strada, sono in prevalenza siriani; l’incremento dei Sunniti palesa la discrasia tra una terra di confine europeista, che vanta una netta differenza dalle società islamiche, e un Paese che non sa laicizzarsi anche se percorso da dinamiche che ne tradiscono l’urgenza di cambiamento in direzione di un più ampio respiro liberale”.
Ed è proprio questo che colpisce del suo racconto: il fatto che la nostra percezione su di un conflitto così destabilizzante, non certo per la sola Siria, sia a tratti totalmente offuscata da un'informazione a volte filtrata. Dall'altra parte, lì a Damasco e nelle zone colpite, ci sono i giovani, ma anche le donne meno alfabetizzate con indosso il velo, che sanno che l'Europa sta a guardare alla finestra quanto accade lì da loro, e che hanno compreso quanto il mezzo di internet e dei social media, seppur non sia il reale campo di battaglia, sia un ottimo strumento per far veicolare la loro sete di riscatto.
Dopo esser riuscita a comprare il latte, fidandosi di chi era con lei, senza tuttavia avere la certezza della loro buona fede nè capire una parola di arabo,, “riesco a giungere solo fino a Kilis il punto di non ritorno rispetto ai luoghi dove il conflitto è reale, dove in questo momento entri solo se sei siriano o pazzo. Qui, dove mi viene vietato in modo forte di scattare foto, capisco definitivamente che Facebook più che di visibilità, è uno strumento di controllo: si palesano tramite le immagini i vari attivisti locali”.
La vista dei campi profughi fa riflettere: “Non sento l'assenza di elettricità, acqua e servizi igienici là dove manca il benché minimo rispetto della vita, sarebbe un controsenso. Qui fa buio prima a occhio e croce, e alle 5 p.m. non mi è dato più di cogliere nulla a un palmo dal mio naso e aldilà della mia più serena constatazione che la guerra è qualcosa che sta accadendo mentre guardo, e non qualcosa che è accaduta affinché possa leggerne”.
Al rientro dal confine, Manuela trova Ade: una piccola bambina siriana, che vive ad Antakia con la sua famiglia, dopo esser fuggita da Aleppo. Ora non hanno niente, ma proprio niente. Sono fortunati ad avere un tetto sulla testa, ad esser riusciti a passare dall'altro lato del confine, ed esser fuggiti dalla guerra. La mamma di Ade piange per i suoi bambini, a cui manca ogni genere di prima necessità, e rinnega la guerra, dicendo a Manuela che “non è il loro Dio a volerla, ma gli uomini interessati al potere e al denaro”. Dice di fotografare i bambini e di mostrarli all'Europa. “Non chiede carità, ma aiuto internazionale”.
Manuela conta di tornare presto ad Antakia, forse già a Gennaio, e ancora nei prossimi mesi con aiuti ancora più consistenti e uomini e donne che potranno mettere la propria esperienza al servizio di altri uomini e altre donne a cui è rimasta solo la speranza di un nuovo inizio. Ci salutiamo con la promessa di incontrarci presto per seguire i prossimi passi di NATI NUDI e con una riflessione “Ho avuto la riprova che se vuoi uscire dalla piazza del dire e lanciarsi nel vicolo del fare, lo puoi fare.”
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