Città di Castello

Un mese in bici per fuggire dall’olocausto | L’incredibile storia di Carlo Rossi

In fuga dall’olocausto e dagli orrori della deportazione in sella ad una vecchia bici nera: una pedalata lunga un mese verso la libertà ed il ritorno a casa dopo più di un anno di stenti, sofferenze e incubi continui.

E’ l’incredibile quanto drammatica storia di Carlo Rossi – nato a Città di Castello il 29 Aprile 1916 – che nel maggio del ’44 fu deportato dai nazisti in Polonia, Olanda e Germania attraverso un doloroso peregrinare tra i fili spinati dei campi di concentramento.

Il figlio e la nipote di Carlo Rossi raccontano l’incredibile storia

La storia di Carlo Rossi, comune purtroppo a quelle di milioni di persone sterminate dalla Shoah o sopravvissute per miracolo, è racchiusa in diverse memorie scritte ovunque, in fogli di fortuna, scatole di medicinali, pacchetti di sigarette, che il figlio Paolo e la nipote Rosita, custodiscono nella propria abitazione di Userna, frazione tifernate dove il padre-nonno ha vissuto in serenità accanto alla sua amata bici nera fino al 2002, quando è scomparso all’età di 86 anni.

“Rastrellato” a Umbertide

Il 24 maggio del 1944 mio padre – precisa il figlio Paolo leggendo anche qualche passo delle sue memorie – mentre si recava ad Umbertide per ottenere l’esonero di chiamata alle armi, poiché 2° figlio di un contadino, fu vittima di un rastrellamento da parte dei militari tedeschi. Venne catturato e fatto salire su un camion dell’esercito tedesco assieme ad altre 50 persone. Li portarono fino a Firenze, caricati in un treno diretto a Verona, costretti a viaggiare come ‘acciughe’. La tappa successiva fu Bolzano e poi l’Austria, finché nel giugno ’44 arrivarono ad Amburgo. Dopo la schedatura e la vestizione vennero subito trasferiti a Varsavia, costretti a duri lavori di costruzione di trincee, strade, ferrovie e taglio boschi”.

Il lungo viaggio e gli stenti

Nel freddo inverno, con pochi vestiti, dormivano fra la paglia e senza viveri. Poi – racconta ancora il figlio Paolo – con l’avanzare del fronte russo, sotto colpi di cannone e mitraglie furono condotti in treno a Stettino (Polonia) e lì rimasero fino a ottobre, sempre patendo freddo e fame, costruendo giorno e notte trincee e ferrovie. Con l’avanzare delle truppe sovietiche, nel gennaio 1945, i tedeschi li portarono a Rotterdam dove dovettero liberare le fabbriche dai loro armamenti militari. A fine aprile, i prigionieri vennero trasferiti fino in Danimarca viaggiando di giorno sui camion e di notte attraverso i boschi in fila indiana. Quando la guerra stava per finire vennero riportati in un paese al confine con l’Olanda e il maresciallo che li accompagnava ricevette l’ordine di liberare prima inglesi e americani e infine gli italiani”.

La bici nera e l’incredibile ritorno

Era il maggio 1945 e non sapendo che la guerra fosse finita – conclude il racconto rotto dall’emozione – si allontanarono ad uno ad uno di notte nei boschi scampando persino le raffiche di mitraglie. Papà fece ritorno da Amsterdam ad agosto tramite mezzi di fortuna, per piccoli tratti in treno, finché a Bolzano ebbe la fortuna di recuperare una bicicletta, ancora oggi funzionante e con la quale tutte le domeniche andò a messa negli anni a venire. Così, con i suoi miseri 45 kg di peso, a fine agosto 1945, tornò dalla sua famiglia su due ruote”.

Carlo Rossi medaglia d’onore

La storia drammatica di Carlo, della fuga verso la libertà in sella a quella bici nera che il destino gli ha fatto trovare nel posto giusto e al momento giusto è senza dubbio il simbolo della Giornata della Memoria che oggi (27 gennaio) si celebra in tutto il mondo e in Umbria. Questa mattina, nel “salone Bruschi” della Prefettura di Perugia, il Prefetto Armando Gradone ha consegnato 11 medaglie d’onore concesse dal Presidente della Repubblica a cittadini deportati ed internati nei lager nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Fra gli insigniti da questa alta onorificenza c’era proprio il tifernate Carlo Rossi.

La memoria

Il figlio, Paolo Rossi ha ritirato il premio in memoria del padre accompagnato dalla figlia Rosita e dall’assessore alla Cultura tifernate Michela Botteghi, che si è detta “onorata di aver partecipato alla cerimonia e rappresentare il comune e la comunità locale in una giornata significativa per il popolo italiano. “I documenti e le testimonianze del nonno – conclude la nipote Rosita, che assieme a mamma Marinella le ha gelosamente custodite – saranno oggetto dei nostri racconti, perché ora spetta a noi, a me in particolare, impegnarci a non dimenticare e a fare tesoro della loro integrità. La giornata di oggi è solo un piccolo gesto per rendere omaggio ad un uomo, come tanti, che ha pagato il prezzo della crudeltà altrui ma che non ha mai perso la speranza di vivere”.