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MARTHA GRAHAM DANCE COMPANY RIEMPIE IL TEATRO NUOVO DI SPOLETO. APPLAUSI PER IL RITORNO (foto Tuttoggi e Video)

di Carlo Vantaggioli

Chissà quanti dei presenti al Nuovo ieri pomeriggio, hanno avuto modo di leggere la recensione di Vittoria Ottolenghi, sulle pagine culturali del settimanale L'Espresso della scorsa settimana, nella quale si definivano “privilegiati” coloro che avrebbero potuto assistere allo spettacolo di questa rinata Martha Graham Dance Company. La Ottolenghi, storica critica dell'arte di Tersicore, parla con passione della Graham glissando sul fatto se sia un “mito vivente” o meno ma soffermandosi su quella che anche per Spoleto era la messa in scena più attesa, quella “Errand into the Maze”, musicata nel 1947 da Giancarlo Menotti, con le scenografie di Isamu Noguchi. Una intensa riscrittura del mito del Labirinto dove la Graham in una sorta di presa di coscienza sul ruolo della donna, fa scendere nel viaggio iniziatico non più l'eroe maschio Teseo, ma una esile quanto “fascinosa” Arianna. Novella eroina, Arianna impegna in una battaglia a metà tra il sensuale ed il muscolare, un Minotauro quasi arrendevole per la sorpresa di non ritrovare davanti a se il ben più coriaceo Teseo. Nella immaginifica scenografia di Noguchi, Arianna svolge tutto il suo cammino di conoscenza nel labirinto, passando e ripassando attraverso una sorta di struttura a “v” che altri non sarebbe che l'osso pelvico femminile. Il tutto sulle note scritte da Giancarlo Menotti, nel suo periodo forse più ardito, dove non v'è concessione alla melodia in ciò che è lotta per una supremazia. Dura, a tratti spigolosa, la partitura rende tutto più chiaro allo spettatore che, non può che farsi coinvolgere in questo spettacolo ormai senza tempo.

Di altro tenore ma decisamente commovemente la coreografia, originalmente di assolo, che più forse ha reso famosa la Graham, “Lamentation”, qui riproposta nella nuova versione tripartita di “Lamentation Variation”, scritta da tre coreografi diversi per commemorare gli eventi tragici dell'11 Settembre e ormai diventata un vero cult del programma della Martha Graham Dance Company.

La scena si apre con un video degli anni '30, in cui la Graham danza Lamentation, senza accompagnamento musicale, in un quadro scenico in cui la differenza sullo spettatore la fa il “morbido” bianco e nero della pellicola che avvolge le movenze rivoluzionarie della protagonista. Al termine del frammento video sarà la stessa voce della Graham, in una di quelle registrazioni fruscianti, di altri tempi, a narrare il senso di quello che si è appena visto, mentre sul palcoscenico si posizionano i ballerini per dare inizio alla prima coreografia di Bulareyaung Pagarlava, ovvero la prima “Variation”, cui seguiranno quelle di Richard Move e Larry Keigwin.

Tutte e tre le Variation non rinunciano a quelli che sono i tratti distintivi della danza della Graham, ovvero la rottura dello spazio scenico con tagli improvvisi diagonali della coreografia, così come le braccia piegate ad angolo per “corrompere” l'armonia del corpo anche questo da indagare fin dentro l'anima, i capelli sciolti per le ballerine, ma soprattutto i piedi nudi, ovvero l'abolizione scandalosa di quella mediazione tradizionale che era rappresentata dalla scarpetta.

Certamente ideare tutto ciò già negli ani'30 era qualcosa che per certi versi accomunava la Graham ad altri movimenti culturali europei di rottura come poteva essere stato almeno un decennio prima il Futurismo in Europa. Ma forse la vera indagine che la grande coreografa e ballerina stava compiendo era una profonda analisi di se stessa, influenzata ( dicono le biografie) dalle teorie psicanalitiche di Carl Jung. Lamentation ne è la prova più netta. Se ne può avere una testimonianza nel video presente nell'articolo, che tuttavia è successivo a quello proposto nello spettacolo.

Ma la Graham non è solo introspezione, e per verificarlo basta abbandonarsi alla giocosità della coreografia che ha aperto il programma del pomeriggio al Nuovo, “Embattled Garden”, dove Adamo ed Eva (ancora il mito che torna), sono coinvolti in una sorta di scambio erotico di coppia con uno Straniero e Lilith, la prima moglie di Adamo. Insomma una sorta di “a volte ritornano”. Il tutto tra le metafisiche opere di Isamu Noguchi che anche in questo caso riesce a creare dei “macchinismi” scenici che divertono e rendono giustizia dello spazio apparentemente vuoto sul palcoscenico. Quanto di più lontano si possa immaginare dal classicismo imperante in America nel 1958, anno del debutto a New York.

Dove il pubblico del Nuovo però si anima e applaude con più convinzione è per “Chronicle”, che chiude il programma della serata, forse l'opera più politica della Graham. Scritta nel '36 era nata per controbattere alla nascente minaccia delle dittature in Europa. E' di quell'anno il rifiuto dell'artista a partecipare ai Giochi Olimpici in Germania. Sono evidenti in questa scrittura scenica tutti gli stereotipi della propaganda resi dalla danza evidenti grazie alla rigidità di alcune movenze, tra cui la classica rottura del corpo con le braccia tipica della Graham. Ma soprattutto è evidente la volontà di rendere centrale il bene che quasi immobile assiste al roteare vorticoso di tutto un universo che ribolle di tensioni e incomprensioni. Una coreografia molto coinvolgente, ma forse non la massima espressione della maturità artistica della Graham proprio perché influenzata dall'idealismo, che ha la necessità, per essere raccontato, di utilizzare un linguaggio più povero, popolare.

Spoleto vive dunque una bellissima pagina di spettacolo, in quella sorta di privilegio di cui dicevamo all'inzio (la compagnia terrà solo altri 3 spettacoli in due città, Trieste e Siena), grazie ancora una volta, al legame con i palcoscenici internazionali dovuto al nome di Giancarlo Menotti. E quando questo accade è quasi sempre con artisti che riempiono il teatro, prendiamone finalmente atto. Ieri c'era al Teatro Nuovo, gente anche nel loggione, non proprio il massimo per vedere uno spettacolo di balletto. E più della metà degli spettatori erano sicuramente non indigeni. Si può dunque programmare con intelligenza e lungimiranza considerando che per lo spettacolo di ieri il prezzo dei biglietti non era nemmeno tanto popolare.

Infine una menzione di merito al nuovo direttore artistico della compagnia, Janet Eilber, che in forza dal 2005 ha saputo trarre fuori dalle “secche” la Martha Graham Dance Company, che pur avendo in portafoglio delle coreografie che farebbero la fortuna di qualsiasi compagnia di danza, negli ultimi anni aveva avuto delle traversie economiche e di programma davvero molto pesanti. Quella vista al Nuovo è davvero una bella compagnia con molti ballerini ancora acerbi ma dagli ottimi fondamentali.

E la danza a Spoleto non manca mai di dare soddisfazioni. Se solo fosse più programmata, Festival incluso!

(Il video di “Lamentation” è del 1943 filmato al Bennington College)