di Salvatore Savastano (*)
L’Europa continua a richiamare l’Italia all’ordine dei conti pubblici e l’Italia risponde. O meglio il governo, nella persona del ministro dell’Economia, risponde con una manovra da circa 50 miliardi di euro. Manovra che ricadrà soprattutto sugli italiani, come se fossimo noi cittadini i responsabili dei buchi di bilancio provocati da questo Governo. Ma in parte responsabili lo siamo: basti pensare che, distratti come siamo dai problemi che “assillano” il premier, non ci siamo nemmeno accorti che in Grecia, con una manovra di poco superiore alla nostra, è successo il finimondo con il popolo greco che ha dato alle fiamme il ministero delle Finanze e paralizzato l’economia con numerosi scioperi generali.
Nonostante tutto, gli italiani sono fiduciosi: si fidano del presidente della Repubblica che ha firmato la manovra e si fidano dell’opposizione che l’ha votata, pur non condividendola, come atto di responsabilità. A fidarsi meno sono gli amministratori locali e gli economisti secondo i quali è una manovra che, come al solito, colpisce i meno abbienti e potrebbe anche far sorgere qualche dubbio di costituzionalità.
La manovra correttiva, studiata per fronteggiare la pericolosa crisi economica mondiale, rischia di dare il colpo di grazia alla debole economia italiana già enormemente debilitata dalle passate finanziarie di sangue e da una manovra da 24 miliardi approvata meno di un anno fa con l’intento, ancora una volta, di risanare il bilancio. Intento andato a vuoto, e a pagare sono stati i soliti: dipendenti pubblici, pensionati, sanità, enti locali. Alla già nota difficile situazione economica, in questi giorni si è aggiunta anche l’ombra della speculazione finanziaria con la borsa di Milano che ha registrato perdite spaventose. Per questo motivo, non c’era tempo da perdere: la manovra doveva essere approvata in tempi ristrettissimi. Infatti, cosa mai successa in Italia, è stata approvata da entrambi i rami del Parlamento in due giorni.
Una manovra seria ed equa, più che da un inasprimento delle tasse avrebbe dovuto iniziare dai tagli agli enormi costi della politica e dei privilegi della solita casta. Ma naturalmente stiamo assistendo ad un film già visto innumerevoli volte: quando si tratta di salvaguardare i propri interessi e privilegi, questo Governo è sempre d’accordo e poco importa se a farne le spese sono i giovani che non trovano lavoro, i pensionati che non arrivano a fine mese, i dipendenti pubblici che si vedono i contratti bloccati per almeno tre anni, la sanità costretta a tagli ricorrenti, la scuola pubblica in arrestabile declino. Il timore comune è che la situazione sia diventata irreversibile e che si sia giunti ad un punto di non ritorno. L’amara medicina che cercano di propinare i sostenitori dell’attuale manovra finanziaria si basa proprio sulla formula thatcheriana del “non c’è scelta”. Bisogna fare così, altrimenti il Paese va a rotoli. C’è un solo modo per evitare il disastro, dicono costoro: accettare i sacrifici inevitabili che comporta il “risanamento dei conti”. La finanziaria italiana, un po’ come quelle approvate prima di essa in Spagna, Grecia, Portogallo e Irlanda, carica tutto il peso del “risanamento” su una parte sola della popolazione, di solito la più povera e la meno potente. Ed è questo l’aspetto più intollerabile che assume la manovra, quello di “macelleria sociale” rivolta sostanzialmente alle aree meno abbienti e più indifese della popolazione. Aspetto del tutto evidente sui tagli agli incentivi per nuova occupazione, sul blocco dei contratti e del turn-over per il pubblico impiego, sull’aumento dei ticket sanitari, sui tagli alla scuola, sui tagli finanziari per le Regioni e i Comuni (che per conseguenza dovranno ridurre i servizi o imporre nuovi prelievi locali).
La parte più significativa è l’intervento in materia pensionistica, con l’allungamento dell’età pensionabile per le donne a partire dal 2014 e col blocco o riduzione drastica dell’adeguamento delle pensioni all’aumento del costo della vita. Questa parte appare ancor più grave a fronte dello studio del CENSIS, pubblicato nei giorni scorsi, che ci rivela, tra l’altro, che nel futuro pensionistico dei giovani, nel 2050, circa uno su due potrà contare su meno di 1.000 euro al mese.
Come SEL pensiamo che l’insieme del provvedimento sia non solo inadeguato, ingiusto e punitivo rispetto ai bisogni di ampie fasce sociali, ma che si muova in direzione del tutto sbagliata anche per il futuro di quella che impropriamente viene definita “azienda Italia”, proponendo ennesimi e perniciosi interventi finanziario-contabili al posto di coraggiosi progetti di rilancio del lavoro sui nuovi fronti dell’economia sostenibile.
Riteniamo pertanto necessaria e urgente un’ampia mobilitazione anche nella nostra città dell’intero Centro-Sinistra per porre fine ad un Governo che rischia di farci uscire definitivamente dal contesto europeo.
(*) Coordinatore di Sinistra Ecologia Libertà Foligno