Spoleto

Malasanità in Inghilterra, salvata dagli ospedali di Spoleto e Pesaro

E’ un caso di malasanità rilevante quello che ha visto protagonista in Inghilterra una italiana, la signora Pamela, che da diversi anni vive lì, alle prese con una grande massa tumorale scoperta soltanto in Italia, grazie all’aiuto e sostegno di familiari ed amici che si sono attivati per lei, portandola prima all’ospedale di Spoleto e poi indirizzandola a quello di Pesaro. Mettendola nelle mani del primario di chirurgia generale ed oncologica dell’azienda sanitaria di Pesaro – Urbino, il dottor Alberto Patriti, già eccellenza del nosocomio spoletino San Matteo degli Infermi grazie alla scuola del professor Luciano Casciola e costretto suo malgrado qualche anno fa ad emigrare verso altri lidi.

Riportiamo di seguito dunque la lettera aperta di Pamela inviata a Tuttoggi.info nella quale si ripercorre quanto da lei affrontato negli ultimi anni ed i ringraziamenti ai medici di Spoleto e di Pesaro che l’hanno salvata.

Mi chiamo Pamela, vivo in Inghilterra da molti anni per lavoro.

Inizio a stare male con tosse continua e febbre elevata verso fine dicembre 2022, ma poiche’ non sono solita precipitarmi subito dal dottore, decido di non farlo nemmeno questa volta, sperando passi tutto spontaneamente con antipiretici e sedativi della tosse.

Lascio trascorrere un paio di settimane durante le quali la tosse diventa sempre piu’ aspra, e quando inizio a far fatica a respirare, con febbre ancora in atto e comparsa di gonfiore addominale, prendo finalmente un appuntamento con il mio medico di base inglese, una dottoressa che, auscultandomi il torace , pone diagnosi di una probabile polmonite, prescrivendomi un antibiotico.

Torno da lei più volte perche’ la febbre non regredisce, la tosse nel frattempo peggiora ulteriormente.

La dottoressa non ritiene opportuno farmi eseguire un rx torace di conferma, ma mi sottopone ad un elettrocardiogramma da cui nulla si evince se non una tachicardia, mi prescrive quindi un antibiotico diverso dal precedente e delle analisi di sangue, dal cui referto si evidenzierà poi la presenza di un significativo stato infiammatorio – infettivo.

Mi reco nuovamente da lei perche’ seppure durante la terapia con il secondo farmaco la tosse si sia placata quasi del tutto, continuo a stare molto male, con persistenza di temperatura corporea elevata, palpitazioni, tensione addominale che aumenta . Finalmente mi indirizza alla esecuzione di una radiografia toracica che esclude una polmonite. La dottoressa quindi imputa il mio stato clinico, essendo ancora tachicardica, come diretta conseguenza di una iperfunzione tirodea diagnosticata circa un anno fa, e mi suggerisce una visita endocrinologica, prenotata per circa un mese dopo.

Dopo pochi giorni torno nuovamente da lei, sto sempre peggio, le dico che non riesco a mangiare, a respirare, la pancia si è gonfiata ancora di più, sono stanchissima, non riesco piu’ a camminare, le dico che ho paura si tratti di un tumore, visto che ho anche una forte familiarita’, una predisposizione conosciuta dalla dottoressa, infatti in passato ho sofferto di una neoplasia mammaria, fortunatamente localizzata ed in fase di remissione completa.

Anche quest’ultima volta vengo trattata con sufficienza, mi prende la temperatura, vede che sono 36 gradi, ne e’ felice, ai suoi occhi e’ una prova che sto meglio, ma le faccio notare che a casa rilevo i soliti 38 gradi e mezzo, stabili da oltre un mese. Le spiego che quanto da lei rilevato dipende dal fatto che avevo assunto da poco una compressa di paracetamolo per riuscire a guidare fino al suo studio. In inghilterra infatti i dottori non escono mai in visita, mai.

Lei mi informa che il paracetamolo non serve ad abbassare la temperatura, ma ha solo azione antalgica (sic!), e prosegue con la registrazione in cartella clinica del valore della temperatura da lei preso. Le ripeto che ho la pancia che si gonfia troppo velocemente, con dolore, che l’intestino è quasi bloccato, ma vengo ancora ignorata. In tutto quel tempo non ha mai valutato l’addome, solo auscultato i polmoni due volte in tutto.

A casa mi metto a letto, non riesco a stare in piedi per più di 10 minuti, riduco drasticamente l’alimentazione, non riesco a parlare e camminare contemporaneamente, faccio sempre piu’ fatica a respirare.

Invio una e – mail alla dottoressa dimostrandomi anche abbastanza alterata, in cui lespiego tutto questo; lei mi risponde con due righe, affermando che non sentendomi ancora bene sarei dovuta andare al pronto soccorso. Da lì in poi non si e’ fatta piu’ sentire. Mi riempio ancora una volta di paracetamolo e ci vado.

In ospedale mi sottopongono ad un prelievo di sangue e ad un nuovo elettrocardiogramma, vedono che sto male ma mi dicono di tornare a casa e ritornare il giorno dopo per essere sottoposta ad ecografia addominale , e così faccio. Sono ormai esausta, il giorno dopo il dottore che mi visita in emergenza in ospedale palpando la pancia per la prima volta da quando tutto è cominciato, mi riferisce che ho liquido nel ventre ( in italia scopriro’ che si chiama ascite addominale e che non e’ per nulla un buon segno). A quel punto quello che dicono i medici del pronto soccorso diventa confuso, mi fanno fare un’ecografia il cui referto non rileva nulla di preoccupante, ma contemporaneamente i dottori pronunciano la parola tumore.

Vengo rimandata a casa, con l’impegno che dopo tre settimane mi avrebbero chiamata per una tac all’addome. Ormai sono quasi allettata, perdo velocemente chili, smetto del tutto di alimentarmi.

Quello che non sapevo era che avevo alle mie spalle una piccola armata italiana di 5 persone per nulla convinte di come mi stessero curando. Erano i miei due fratelli, due carissime amiche ed un formidabile amico dottore, che avevano inziato a comunicare nel tempo tra di loro. Ci eravamo infatti sentiti, ed avevo detto che mi sentivo davvero male. Danilo Gioacchini, il mio amico dottore di Spoleto, mi chiese di mandargli tutti i risultati delle analisi fatte fino allora, così, sotto suo deciso consiglio, sono stata messa su di un un aereo e spedita in Italia. A quel punto non riuscivo piu’ a camminare per piu’ di pochi passi, ero stremata, ed in aeroporto mi sono servita di una carrozzina per muovermi.

Arrivo in italia un sabato pomeriggio della fine di gennaio, Danilo mi accompagna al Pronto Soccorso di Spoleto, dove sono stata accolta da un personale eccezionale. Tutti, ma proprio tutti, vedendo le condizioni in cui ero, gli esami eseguiti in Inghilterra, non si spiegavano perche’ non fossi stata ricoverata subito. Ancora sorrido amaramente pensando alla loro espressione quando spiegai che fu proprio il pronto soccorso inglese che mi rimando’ a casa per ben due volte, programmandomi la tac addome a tre settimane dal mio ultimo, sofferente accesso.

Dopo 4 ore a Spoleto ho la diagnosi che in Inghilterra non sono riusciti a darmi in tutto quel tempo: c’e’ una massa nel mio ventre, molto, ma molto voluminosa, probabilmente un tumore ovarico. Mi dicono che non capiscono come l’ecografista in Inghilterra non l’abbia vista.
Grazie, dr. Veneziano, medico del pronto soccorso, a lei ed al suo staff.
Grazie, dr.ssa Segoni, radiologa che sa fare e comunicare.

Lunedi’ vengo ricoverata alla chirurgia oncologica di Pesaro diretta dal Dr Alberto Patriti, dove mi sottopongono subito alle analisi e procedure preoperatorie, tra cui una visita ginecologica,durante la quale la specialista mi chiede da quanto tempo non facessi visite di controllo. Alla domanda rimango a bocca aperta, non ne avevo più fatte da quando vivo in Inghilterra, perche’ in quel paese non esiste la stessa attenzione che c’e in italia alla prevenzione, mi ero automaticamente dimenticata di come funzionasse lo screening preventivo .

Il giorno seguente mi operano. L’intervento, mi racconterà poi il mio amico medico presente in sala operatoria, è stato lungo, elaborato, preciso. Il primo operatore è stato il dr Alberto Patriti , coadiuvato da una eccezionale equipe di chirurghi, che scopriro’ in seguito avere una età media di 35 anni, un team che ha condotto un intervento eccezionale, rivolto alla eradicazione totale della neoplasia, con lo scopo di farmi sopravvivere a questo tumore che poi si è rivelato del peso di oltre 3 kg e del diametro massimo di circa 30 cm .

Quello che ricordo al risveglio dall’anestesia è il volto di una infermiera che mi chiamava chiedendo come stessi, e mentre le rispondevo che stavo bene, mi rendevo conto che per la prima volta da quasi due mesi stavo respirando dal naso, erano mesi che lo facevo solo dalla bocca.

Quello che ricordo dell’ospedale di Pesaro é anche l’accoglienza. Le visite quotidiane del primario e del suo staff, eseguite piu’ volte. Il volto di Alberto Patriti, puntuale ed onesto nelle informazioni , dotato di un’empatia incredibile che aiuta tantissimo, anche a farti ingoiare notizie poco piacevoli. Il reparto di chirurgia generale ed oncologica di Pesaro è estremamente curato, la sua equipe medica ed infiermeristica e’ giovane, determinata e preparata. Tutti, dottori, infermieri, operatori socio sanitari ed addetti alle pulizie, si comportano con professionalita’ e cortesia. Le vostre ,risate… ora mi rivolgo direttamente a voi , quanto vi sono stata grata per le vostre battute. Ridere salva, come la vostra continua, quotidiana attenzione. Alberto, grazie per la tua costante presenza.

Una notte ho avuto una crisi di panico, mai successo prima, non riuscivo a smettere di tremare e voi, infermieri di turno in quel momento siete rimasti con me finche’ non mi sono sentita meglio. Mi avete permesso di continuare a sentirmi una persona, non solo una malata, alleggerendo il peso che portavo dentro, in ogni senso! Ma c’e anche il dopo, c’e la voce , la preparazione ed il sorriso dell’oncologo, il dr Alessandroni, che ti segue, ti dice che ce la farai, rispondendo a tutte le domande, fornendo le informazioni di cui si ha bisogno. Non riesco a non pensare a come possiate, voi tutti del personale pesarese, ad essere cosi speciali, perche’ un lavoro come il vostro presuppone un peso quotidiano notevole, eppure sorridete, ci sostenete, aiutandoci ad affrontare il problema.

Mi avete chiamata guerriera, combattente, invece sono stata solo fortunata. Fortunata ad avere avuto quelle 5 persone che hanno combattuto la mia battaglia con me, per poi essere consegnata nelle mani di chi sa fare e comunicare a livelli altissimi.Soprattattutto ho avuto la fortuna di essere Italiana, questo mi ha salvata, perche’ se non lo fossi stata,se fossi rimasta in Inghilterra, l’epilogo sarebbe stato molto probabilmente funesto.

Sono consapevole che ci siano gravi problemi anche nella sanita’ Italiana, ma cerchiamo di mantenere e migliorare cio’ che ancora abbiamo, perche’ funziona, e salva la vita. Grazie per avermi riportata alla mia.

Pamela Baraschi