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L’Umbria chiede calendario autonomo per le riaperture | Il dpcm “imbavaglia le Regioni”

Il Decreto per la Fase 2 “imbavaglia le Regioni”. Così risponde la Presidente Tesei al Governo, dopo la riunione con gli enti locali tenutasi nella serata di ieri, poco prima che il Presidente del Consiglio presentasse il tanto atteso decreto per regolamentare la tanto attesa Fase 2 (ossia la ripresa ragionata delle attività personali e lavorative dopo il lungo lockdown italiano dettato dalla pandemia di Covid-19).

Un dpcm dal quale ci si aspettava molto più contenuto e soprattutto indicazioni chiare su come tornare “a vivere”, tanto per i cittadini quanto per le Regioni, che si trovano a dover gestire i propri territori.

E quindi, tante e diverse sono state le reazioni, già sin da subito con un comunicato tagliente della CEI sulla promessa (a quanto si capisce), ma mancata riapertura dei luoghi di culto, e poi a seguire a cascata con richieste di associazioni di categoria e ovviamente quelle delle Regioni.

Tra chi si trova più o meno d’accordo con la linea unica del Governo come si può ben capire sia la Lombardia e chi decide di agire in deroga come annunciato dalla Liguria, l’Umbria si posizione nel mezzo: presenta una richiesta di un proprio calendario di gestione riaperture.

La linea dell’Umbria

“Sottoporremo al Governo un nostro cronoprogramma di riaperture” scrive Donatella Tesei in una nota ufficiale. Una posizione che potrebbe sembrare poco “aggressiva”, viste motivazioni serie e urgenti che adducono l’Ente alle richieste, ma che in realtà si muove nella tutela delle attività alle quali cerca di andare incontro.

Si pensa per esempio alle tante attività di artigianato, completamente dimenticate da questo Decreto, che non vedono la luce della riapertura, se ne avranno ancora mezzi e forze, prima del 18 maggio se non addirittura a giugno.

I rischi di una deroga non concordata

“Vi sono settori, così come affermano giustamente le associazioni di categorie, non inseriti tra quelli che potranno tornare in attività il 4 maggio e che invece, con le giuste precauzioni sanitarie, avrebbero potuto riaprire” afferma la Regione. Allora perché non forzare la mano e imporre il proprio calendario di riapertura con un’ordinanza specifica?

Perché, oltre al rischio di un ricorso da parte del Governo, a pagare multe salate rischierebbero proprio quelle attività in caso di controlli da parte della Prefettura, ente che si muove per legge secondo le indicazioni del Dpcm e non secondo l’orientamento delle Regioni.

Le altre richieste della Regione

“Un Dpcm, quello presentato dal Governo, che oltre a contenere misure discutibili, ha alcune evidenti mancanze e soprattutto imbavaglia le Regioni che posso adottare solamente ordinanze restrittive“. Apre così il comunicato della Regione Umbria, che interviene sul sopra citato decreto.

“Abbiamo chiesto al Governo – annuncia Tesei – che ci venga comunicato un piano chiaro sull’uso dei dispositivi (mascherine ndr)e sul loro reperimento. Così come abbiamo chiesto certezze in merito a come e dove i genitori, che torneranno a lavorare, potranno lasciare i loro figli, ed in merito a tutta la materia che riguarda i trasporti pubblici.”

“Domande a cui non ci è stato ancora risposto e che lasciano un’enorme voragine. Grazie alla nostra pressione, abbiamo ottenuto un incontro mercoledì in cui le Regioni chiederanno al Governo un programma di riaperture ben delineato e nero su bianco, non solo attraverso annunci mediatici, e come Regione Umbria sottoporremo anche un nostro cronoprogramma di ripresa. Questo – sottolinea la presidente – è un altro grande tema: l’impossibilità ad oggi da parte delle Regioni di gestire alcune situazioni tramite ordinanze proprie. Vi è infatti, come detto, solo la possibilità di restringere, ma non di ampliare le attività permesse. Chi lo fa corre il rischio che l’ordinanza sia impugnata e comunque ritenuta inefficacie, con le conseguenti sanzioni per chi svolge le attività stesse”.

“Oltre a continuare a batterci sul tavolo nazionale – conclude la presidente Tesei – ci stiamo confrontando con il Prefetto per cercare, nelle more delle norme nazionali, di avviare tutte quelle attività che possono svolgersi in sicurezza”.