(Adnkronos) – “In questo Paese noi medici di medicina interna siamo rimasti gli unici a rispettare l’articolo 32 della Costituzione”, quello che dice che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”, il principio che fa del “rispetto della persona umana” il faro guida dell’assistenza sanitaria. Comincia così la lettera aperta di Antonino Mazzone, direttore del Dipartimento medico dell’Asst Ovest Milanese, che prende spunto dal caso dell’Irccs San Raffaele di Milano – sintomo esploso di un’antica malattia che peggiora senza trovare cure (“negli ospedali non ci sono più gli infermieri”) – per lanciare un duro monito alla politica: “Vogliamo diventare come l’America che cura solo chi paga e lascia gli altri sul marciapiede?”, chiede l’internista nello sfogo di chi non si rassegna alla “sanità come profitto”.
All’ospedale di Legnano “dirigo un grande reparto di Medicina interna – scrive Mazzone – e mi veniva in mente l’articolo 32 della Costituzione ascoltando i miei bravi e giovani medici durante il briefing del mattino, mentre mi informavano dei pazienti che erano stati ricoverati dal Pronto soccorso. Nei reparti di medicina ormai più del 98% dei pazienti sono ricoverati dal Ps con problemi acuti”, e spesso sono malati “polipatologici e complessi”. Il primario cita qualche caso arrivato nel suo reparto. “Primo paziente: 65 anni, paraplegico ricoverato per polmonite, caregiver della moglie affetta da Alzheimer, nessun parente in quanto l’unico figlio si trova in carcere. Secondo paziente: homeless, trovato incosciente dal 118, alcolista affetto da cirrosi epatica ed encefalopatia alcolica, nessun percorso possibile, rimane ricoverato in Medicina interna. Terzo paziente, ricoverato per setticemia: extracomunitario con permesso scaduto, impossibilità di rinnovarlo e di possibile dimissione”. Ancora: anziana “95enne sola a domicilio, autonoma fino al giorno prima, trovata senza coscienza dal vicino, nessun parente tranne un pronipote che non ha alcun interesse a gestirla, rimane per giorni e giorni in Medicina senza alcuna possibilità di liberare il letto”.
Storie brevi di un elenco che potrebbe essere ancora più lungo. Drammi diversi, stesso epilogo: “I posti vengono occupati in maniera inappropriata e nessuno dal punto di vista organizzativo se ne assume la responsabilità”, afferma l’internista che porta dati pubblicati sulla rivista ‘Internal and Emergency Medicine’. Titolo dello studio ‘Co.Cared – Complessità dell’assistenza e barriere alla dimissione: il paziente moderno di Medicina interna’, coordinato da Chiara Cogliati dell’ospedale Sacco di Milano. Gli autori, spiega Mazzone, analizzano 14 reparti di Medicina interna in Lombardia. Risultato: “Percentuale di ‘bed blockers’ 24%, malati inappropriatamente ricoverati in reparto che non hanno alcuna necessità clinica” di restarci ancora e “che occupano un posto con un elevato costo per la società”. Pazienti che “spesso arrivano nei pronto soccorso dei privati accreditati”, dove “non li fanno nemmeno sbarellare. Li guardano in ambulanza, capendo le problematiche, e dicono il fatidico: ‘Noi non siamo in grado, lo porti nell’ospedale pubblico’”.
“Qualcuno dei decisori politici si rende conto della situazione in cui versano oggi alcuni reparti come la Medicina interna, la specializzazione più lunga e prestigiosa dopo la laurea in Medicina, che è il ‘cervello dell’ospedale’ come dice la bellissima attrice Matilde Gioli nella fiction che va tanto di moda?”, domanda lo specialista con un accenno alla serie ‘Doc – Nelle tue mani’. “Abbiamo ridotto i letti a 3 su 1.000 abitanti, molto meno della media europea e un terzo della Germania. Chi lavora in ospedale sa davvero quale è la situazione: c’è chi si sceglie i malati e chi deve prendere tutto”, attacca Mazzone, comunque fiero di far parte dei secondi. “Noi siamo la Medicina interna e siamo felici di rispettare l’articolo 32 della Costituzione. E non solo prendiamo tutti i pazienti spesso rifiutati da vari specialisti, e di questo siamo orgogliosi, ma ormai siamo insostituibili – sottolinea – perché siamo quelli che stiamo tamponando la deriva di medicina d’urgenza e Ps in questo Paese, partecipando attivamente alla turnistica del pronto soccorso. Senza i medici internisti molti Ps sarebbero già chiusi”, avverte Mazzone, e allora “metteteci in condizione di fare il nostro lavoro al meglio”.
“Siamo il primo reparto di ricovero in questo Paese, con oltre 1 milione di ricoveri” all’anno, però “dateci la possibilità di destinare secondo competenza e appropriatezza il paziente giusto nel posto giusto, curato in maniera corretta, nel setting assistenziale adeguato. Liberiamo i reparti di Medicina interna dai problemi socio assistenziali”, chiede il primario, visto che “sono stati creati posti per direzioni socio sanitarie e infermieri territoriali”. Ma “almeno funzionassero, queste direzioni socio sanitarie”, perché così “saremmo in grado di liberare posti letto da gestire sul territorio”. Invece l’unico effetto che l’internista rileva è che “gli infermieri vanno sul territorio” e “negli ospedali non ce ne sono più”, come dimostra a Milano “quanto accaduto al San Raffaele in un reparto di medicina ad alta complessità” dove nei giorni del ponte di Sant’Ambrogio sono arrivati dei ‘gettonisti’ non preparati per i compiti che avrebbero dovuto svolgere. Oggi “gli infermieri vanno sul territorio – ripete Mazzone – dove il lavoro è un quarto di quanto è in ospedale, soprattutto in Medicina interna dove sono tutti complessi e allettati”. E dove “chi si ammazza tutti i giorni per fare tutto ai pazienti spesso viene deriso e umiliato”, contrariamente a chi magari si limita a “gestire un paziente a testa con una macchina”, rimarca l’internista che nella sua analisi non risparmia certi “sindacati”.
“Vogliamo una sanità che perda l’aspetto umano della cura? Vogliamo sceglierci i pazienti e quelli che non pagano li lasciamo sul marciapiede come in America?”, incalza Mazzone raccontando quando “da giovane, a Chicago, vedevo che in presenza di uno che stava male guardavano se aveva la tessera dell’assicurazione e se non ce l’aveva lo lasciavano lì moribondo. Si vuole una sanità di questo tipo? Ma qualcuno di credibile esiste ancora che ci tenga ad avere un servizio sanitario pubblico, che rispetti la Costituzione italiana, o dobbiamo rassegnarci alla sanità come profitto?”. Il medico di medicina interna conclude prendendo in prestito alcuni passaggi del discorso alla città pronunciato da monsignor Delpini alla vigilia della festa di Sant’Ambrogio, patrono del capoluogo lombardo: “Alcune delle professioni più direttamente dedicate al bene delle persone sono diventate particolarmente faticose e inadeguatamente retribuite”, ha osservato l’arcivescovo di Milano. “La comunità che agisce per un’autentica promozione della salute non deve dimenticare le cause sociali della malattia, prediligendo i più fragili perché non ricevano solo risposte emergenziali, ma anche di prevenzione e cura nella cronicità e progettando interventi incentrati sull’equità”, ha continuato Delpini. “La gente è stanca”, ha ammonito chiamando in causa anche “una gestione miope della cosa pubblica”, con “servizi pubblici che costringono a ricorrere al privato”. Così “dimenticando l’articolo 32 della Costituzione Italiana – chiosa Mazzone – e favorendo il profitto sulla malattia e il disagio”.