“Il destino della Cassa di Risparmio di Orvieto? Non si deciderà né in Umbria, né a Bari, ma a Roma“. E nella capitale più precisamente – secondo le previsioni di un sindacalista che sta seguendo molto da vicino il braccio di ferro sulla banca umbra – a Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia i cui ispettori sono al lavoro in cime alla Rupe proprio mentre l’Assemblea dei soci si è spaccata sul Bilancio 2018 con un rosso di 32,4 milioni di euro, con il voto contrario della Fondazione Cro.
“Il bilancio – veniva spiegato nella prima nota tecnica inviata da Bari – evidenzia una perdita netta di 32,4 milioni (utile di 2,2 milioni nel 2017) sostanzialmente riconducibile all’integrale rettifica degli avviamenti ancora presenti in bilancio, pari a 30,9 milioni. Il bilancio evidenzia altresì rettifiche nette su crediti e perdite da attività finanziarie per 9,9 milioni (4,6 milioni nel 2017). Al 31 dicembre 2018 la Cassa di risparmio di Orvieto gestiva raccolta complessiva da clientela per 1,59 miliardi (di cui 1,05 miliardi rappresentano la componente diretta) ed impieghi a clientela, esclusa la componente rappresentata da titoli, per 0,93 miliardi. In miglioramento la qualità degli impieghi, con la componente deteriorata netta scesa su base annua dal 9,8% al 7,6% del totale dei crediti“.
Ma per la Fondazione quelle due operazioni straordinarie (senza le quali l’istituto avrebbe chiuso con un utile di 3,4 milioni, affermano da Orvieto, lettura confutata da Bari) sono state “decise e poste in essere dall’azionista barese” a suo esclusivo vantaggio. Le operazioni sono la prima relativa – come ha spiegato il presidente Gioacchino Messina in una lettera aperta alla città di Orvieto – “alla svalutazione di un avviamento formatosi nel 2011, a fronte del conferimento di sportelli e di crediti effettuato in occasione di un aumento di capitale dalla Banca Popolare di Bari per 30,928 milioni di euro, mentre la Fondazione conferiva denaro in proporzione alla sua partecipazione, e la cartolarizzazione massiva di crediti deteriorati tra PopBari e Cro. La prima, ha generato una perdita di 32 milioni e la seconda di 5 milioni circa”.
“Entrambe le operazioni – il commento del presidente Messina – mi hanno profondamente sorpreso sia per la loro natura sia soprattutto per la loro funzionalità. Mi ha stupito, inoltre, la decisione di non evidenziare, in modo esplicito, nel documento sottoposto all’assemblea dei soci, i risultati della banca, ponendo, in giusta evidenza, i dati positivi della gestione tipica e le negatività generate dalle operazioni straordinarie, e non ripetibili. La svalutazione dell’avviamento è stata decisa sul presupposto che la banca è parte attiva di un piano industriale 2019-2023, unico con Popolare di Bari. Tale circostanza è smentita da fatti, la decisione di cedere la banca, noti ed avvenuti prima che il bilancio 2018 fosse approvato e depositato. La cartolarizzazione, invece, appare non utile in assoluto, come peraltro risultava dalle considerazioni già fornite, nel bilancio 2017, dall’allora presidente Ravanelli, oltre che da altre evidenze indicate dall’attuale organo“.
Eppure, sottolinea Messina (anche perché all’orizzonte c’è l’offerta d’acquisti di Sri Group dell’imprenditore Giulio Gallazzi) i risultati della gestione corrente fotografano una banca “sana”. Il cui piano industriale però, lamenta ormai da tempo la Fondazione, si è allontanato dagli interessi del territorio orvietano.
Parole, quelle di Messina, che hanno spinto la Popolare di Bari a replicare: “Nei 10 anni ormai trascorsi dall’acquisizione del controllo della Cassa, la Banca Popolare di Bari ha operato con l’intento principale di mantenere il ruolo di prossimità al territorio e di attenzione alle esigenze delle economie locali. Il tutto senza dimenticare i legittimi interessi degli azionisti, ai quali dal 2009 la Cassa ha distribuito dividendi per 17,2 milioni, di cui 4,5 milioni a diretto beneficio della Fondazione per sostenere lo sviluppo delle proprie attività istituzionali, a vantaggio soprattutto del territorio orvietano. Le risorse finanziarie costituite dalla raccolta della clientela della Cassa sono state sempre e sistematicamente reimpiegate nello stesso territorio, al servizio principalmente delle piccole imprese, degli artigiani e delle famiglie. Gli importi erogati per finanziamenti assommano in questi anni a svariate centinaia di milioni“. Insomma, per Bari la partecipazione di maggioranza in Cro ha portato benefici al territorio orvietano.
Tra il 2008 e il 2018 gli impieghi netti della Cassa sono passati da 662 a 931 milioni, la raccolta diretta da 663 a 1.053 milioni, l’indiretta da 217 a 532 milioni, il totale delle attività da 756 a 1.376 milioni. “In più – aggiunge la nota della Popolare di Bari – la Capogruppo ha fornito in diversi anni le risorse finanziarie che hanno consentito alla Cassa di acquisire liquidità aggiuntiva che, adeguatamente investita in titoli di Stato, ha generato nel quinquennio 2013-2017 utili da negoziazione per 16,6 milioni, andati evidentemente a beneficio anche della Fondazione in quanto azionista di rilievo. In un arco temporale caratterizzato da una profonda crisi, se non da un fase di prolungato declino, del tessuto economico della zona di riferimento, la Cassa continua a rappresentare una delle poche realtà significative in termini occupazionali, sia direttamente che come indotto, nel pieno rispetto delle leggi e, soprattutto, delle persone“.
Visto che tra i soci volano ormai gli stracci, dalla Puglia si ricordano “i milioni di euro che la Banca Popolare di Bari – direttamente e non attraverso la Cassa – ha erogato a favore di iniziative radicate nella città di Orvieto, accogliendo le indicazioni provenienti dalla Fondazione“.
Fatta questa premessa, la Popolare di Bari confuta sul piano tecnico le affermazioni relative alle due operazioni che hanno portato alla perdita di 32,4 milioni di euro. E che si riferiscono una “all’integrale rettifica degli avviamenti ancora presenti in bilancio, pari a 30,9 milioni, una posta che trae origine dall’acquisizione di sportelli da parte della Cassa, avvenuta nel 2009, nonché da ulteriori sportelli conferiti da Banca Popolare di Bari nel 2011 (operazione, quest’ultima, all’epoca approvata anche dalla Fondazione), in ottica di accorpamento in una unica entità della rete territoriale umbra di Gruppo. La rettifica degli avviamenti, applicata in linea con gli orientamenti assunti dall’intero sistema sulle voci contabili intangibili a vita indefinita, non ha avuto alcun riflesso né sui coefficienti patrimoniali regolamentari, né sul valore intrinseco della Cassa“.
L’altra alle “rettifiche nette su crediti e perdite da attività finanziarie per 9,9 milioni (4,6 milioni nel 2017), inclusa una perdita di circa 5 milioni a fronte di una cartolarizzazione di crediti in sofferenza perfezionata nella seconda parte 2018. Le operazioni più significative, anche per gli impatti sul bilancio 2018, sono state tutte effettuate al termine di ampie valutazioni, sempre dettagliatamente documentate, nel rispetto delle norme contabili e dell’approccio prudenziale e con il consenso unanime del Consiglio di amministrazione“. Da Bari, comunque, replicano che da quelle operazioni l’azionista di maggioranza non ha potuto trarre benefici.
L’unico aspetto su cui sono tutti concordi, a Orvieto come a Bari, è sul fatto che la Cassa sia una banca “sana, con i ratios patrimoniali adeguati, con una qualità dei crediti in linea e in alcuni casi migliore di altre banche italiane più grandi e blasonate”. I meriti però, rivendicano da Bari, vanno attribuiti “in primo luogo agli Amministratori passati e attuali, al management e al personale della Cassa che il rappresentante della Banca presente in Assemblea ha tenuto a ringraziare, ma che evidentemente testimoniano i buoni risultati dell’impegnativo lavoro che la Banca Popolare di Bari, in quanto responsabile della gestione della Cassa, ha svolto in questo decennio. Un lavoro – prosegue la nota della capogruppo – che sta continuando nel 2019, con l’intento di pervenire a risultati positivi, nonostante il permanere di un contesto esterno ancora molto difficile“.
Questo il clima con cui ci si avvicina all’Assemblea dei soci della Popolare di Bari del 21 luglio. Una data cruciale per capire le intenzioni circa l’offerta di acquisto della Sri Group. Una cordata (ma il partner bancario non è stato ancora svelato dal fondo, cosa che suscita timori nei dipendenti e nei sindacati) su cui punta apertamente la Fondazione. “Mi auguro che, superato il vaglio soggettivo e l’esame del piano industriale sotteso all’ingresso nel capitale di Sri Group – ha scritto il presidente Messina – si delinei un periodo di trasparente fattiva collaborazione fra i soci. Se il nuovo azionista della Banca saprà comprendere le istanze del territorio, e in questo la Fondazione potrà svolgere uno specifico ruolo, e allo stesso modo se il territorio risponderà positivamente all’auspicato cambiamento, potremmo avere una nuova banca più efficiente, forte e più moderna“.
Ma la scelta sulla vendita, si continua a profetizzare da chi ha visto da vicino in Umbria commissariamenti, fusioni ed acquisizioni, più che a Bari verrà presa a Roma.