E così, dopo le famose regie geometriche di Giorgio Ferrara al Festival dei Due Mondi (nella trilogia mozartiana), Spoleto non si fa mancare nemmeno la “esoterica” come quella messa in scena ieri (18 settembre) ad opera di Maria Rosaria Omaggio, al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti per il debutto di Rigoletto, 74^ Stagione del Lirico Sperimentale di Spoleto.
L’ortodossia verdiana avrà di che dire nei prossimi giorni, ma di fatto una buona dose di coraggio in tempi di pandemia, e di sfacciataggine hanno prodotto quello che si direbbe prosaicamente “il colpaccio”.
E se il fiuto non ci inganna, quella di Maria Rosaria Omaggio non sarà nemmeno l’unica regia che vedremo al Lirico, prossimamente.
I talebani verdiani, ma anche tutti gli altri celebranti e diaconi della lirica letterale, si mettano il “cor” in pace, perchè una via è stata tracciata.
E sopratutto con gaudium magnum del pubblico presente al Nuovo che non la finiva più di applaudire e di gridare “bravo-bravi” a chicchessia.
Ma andiamo con ordine.
Sappiamo sulla nostra pelle quanto sia devastante smontare la drammaturgia musicale di un opera considerata dal pubblico “un grande classico”.
Vale solo la pena di ricordare la discutibilissima (a nostro parere una autentica bruttura) messa in scena allo Sferisterio di Macerata nel 2018 de Il Flauto Magico di W.A. Mozart con la regia del discusso Graham Vick, dove per dirne una Papageno era un venditore di pollo fritto e Papagena una homeless forse tossica.
Senza rivangare il dolore provato per una inutile, quanto capziosa, trasposizione in chiave moderna del capolavoro mozartiano, il problema principale di queste operazioni è il tentativo di disorientare il pubblico da ciò che invece è il motore principale di un opera: ovvero la musica.
Opere scritte perlopiù qualche secolo fa e con testi che in tempi moderni debbono essere proiettati su schermi giganti, come i sottotitoli di lingue straniere, tanto risultano complessi ed anche astrusi ad un primo ascolto.
Solo la musica dunque può essere un filo conduttore animico e magistrale, nel senso della indicazione di dove si può arrivare e dove il compositore intendeva accompagnare, con l’aiuto del librettista, il pubblico presente a teatro.
Nel Rigoletto, per tornare a Spoleto, a chi può importare veramente se ci si trova in un bar, una locanda fuori città, o un modernissimo e proibitivo privè, quando il Duca di Mantova canta la famosa aria “Bella figlia dell’amore…” rivolgendosi a una febbrile Maddalena, mentre Gilda, distrutta dal tradimento, osserva tutto nascosta dietro ad una porta accompagnata dal padre, Rigoletto.
Dunque non è solo il contenitore a tracciare una via di conoscenza ma è anche necessariamente il contenuto, nella accezione più nobile del termine, a costituire un unicum in cui specchiarsi per ritrovare se stessi e comprendere di cosa siamo fatti.
Maria Rosario Omaggio sceglie dunque uno dei grandi classici della via della conoscenza: il pavimento a scacchi, la grande scacchiera della vita dove si alternano il bene e il male, il bianco e il nero, in un continuo gioco di posizioni, dove l’equilibrio tra le due forze contrapposte è determinante per il compimento di un passo in più verso una illuminazione, o anche una epifania, per citare J.Joyce.
Togliendo dunque ogni riferimento scenico (anche per causa di forza maggiore pandemica) ai cantanti, quello che rimane nella possibilità degli stessi è di trasmettere tutto ciò che provano solo attraverso il canto.
Unica concessione possibile una serie di movimenti rigidamente conformati al vero gioco degli Scacchi, qualche rara azione mimata senza oggetti (come l’uccisione di Gilda da parte di Sparafucile) e una sorta di tuffo sensoriale generale di tutto il cast nell’indossare gli straordinari costumi di Clelia De Angelis, che non perde il vezzo (e meno male) di giocare con i copricapi, quasi che questi, una volta indossati, possano diventare come i cavi di collegamento di Neo nel film Matrix per finire in una realtà superiore.
Ecco perchè dunque ci siamo spinti a definire “esoterica” la regia della Omaggio. Perchè la simbologia di questa messa in scena, spinge l’osservatore, attraverso la sollecitazione di tutte le sue sensibilità, a meditare e a ri-conoscere qualcosa diverso da se stesso, oltre il visibile. Sopratutto ricercando da soli e senza “aiutini” piacioni.
Tutto questo non avrebbe ragione di essere scritto se non ci fosse alla base la grande forza innovativa della partitura musicale di Verdi.
Il “Cigno di Busseto”, compie una straordinaria operazione di modernità introducendo nel collaudato schema operistico dell’epoca, il dialogo di alcuni strumenti,specificamente scelti, con l’aria che il cantante sta eseguendo.
Seguendo il fido librettista Francesco Maria Piave, Verdi infila in poche abili mosse tutto quello che è necessario in uno spartito perchè la musica diventi caratterizzata in modo sapiente ed inequivocabile. Ogni azione è guidata da un tema preciso in cui non sfugge l’ardore febbrile con cui il Giuseppe Verdi del 1850 (poco più che 37enne) mette sullo spartito il primo atto della cosiddetta Trilogia Popolare (Rigoletto, La Traviata, Trovatore).
Le arie come la già citata “Bella Figlia dell’amore…”, ma anche “Questa o quella…” e la celeberrima “La donna è mobile…” sono e restano pietre miliari del canto operistico, veri e propri banchi di prova per ugole tenorili in cerca di conferme.
Come spiega il Direttore d’Orchestra, Marco Boemi, nel programma di sala, nel Rigoletto ci sono ingenuità ma anche grandi innovazioni come la presenza costante della nota Do durante l’aria che Rigoletto canta dopo aver subito la maledizione di Monterone.
Una nota di stile che fa la differenza e non tende alla ricerca piaciona, come detto prima.
O come tutta l’atmosfera cupa creata dall’orchestra nel duetto notturno tra il giullare di corte e il sicario Sparafucile a cui segue il monologo “Pari siamo” in cui Rigoletto mette a nudo un anima multiforme e divisa tra il bianco e il nero della scacchiera su cui sta cantando.
Dettagli di un opera che possono essere colti anche dal neofita e non solo dall’esperto amante del genere.
Il che non ci priva delle sfuriate verdiane alla “Zum-pa-pa” , fin troppo note sopratutto nelle scene di insieme, in cui si forgia lo stile da sempre oggetto di discussione con i rivali wagneriani.
Come sempre il cast proposto dallo Sperimentale per il debutto non è lo stesso che verrà proposto nelle repliche di stasera e domani 20 settembre.
Possiamo dire però di aver ascoltato una edizione decisamente buona dell’opera verdiana, al netto delle problematiche di suono (a nostro avviso) a causa della scena completamente vuota fino ai muri perimetrali del Nuovo (vedi foto) e del golfo mistico chiuso e allungato alla bisogna per disporre in sicurezza l’Orchestra che era così sistemata in una sorta di semicerchio molto allungato sui lati.
Inevitabile un suono più secco e con meno rotondità, così come per le voci che in alcuni casi hanno faticato a venire fuori per la ovvia dispersione sul palcoscenico.
Tuttavia possiamo dire che lo sforzo compiuto è stato ripagato da lunghissimi applausi e i cantanti sono stati tutti degni di nota, sia gli esperti Nicola di Filippo-il Duca di Mantova o il significativo trascinatore, Luca Bruno-Rigoletto.
Ma anche le vecchie conoscenze del Lirico come Ferruccio Finetti-Sparafucile e Giordano Farina– Il Conte di Monterone.
Delicata e non banale, nonostante Verdi in alcuni passaggi ce la mette tutta per rendere la sua immagine poco brillante, Vittoria Magnarello-Gilda.
Mentre si fa notare per presenza scenica, temperamento e voce interessante, Silvia Alice Gianolla-Maddalena.
Apprezzabilissima l’ Orchestra O.T.Li.S. Diretta da un granitico Marco Boemi (atletico oltre misura, ha diretto l’intera Opera-3 atti- sempre in piedi), e lo splendido Coro del Lirico diretto dal M° Mauro Presazzi.
Stupendo anche l’utilizzo multimediale delle immagini proiettate alle spalle della scacchiera-placoscenico, grazie ad un video di Mino La Franca, così come le luci descrittive della sempre brava Eva Bruno.
Sabato 19 settembre ore 20,30
Domenica 20 settembre ore 17,00
Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, Spoleto
Foto: Tuttoggi.info (Carlo Vantaggioli)