Memoria! Se c’è una parola che più di altre rappresenta ciò che è andato in scena ieri sera, 1 settembre, al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti di Spoleto per la 77^ Stagione del Teatro Lirico Sperimentale è proprio “memoria”. E non soltanto come ricordo fattuale di qualcosa o qualcuno, ma anche come rispetto, ammirazione, e soprattutto conoscenza delle proprie radici.
Se è pur sempre vero il celebre apoftegma Nosce te Ipsum (Conosci te stesso) è anche senz’altro vero che a Spoleto la memoria è cortissima in alcune occasioni così come è scarsissima in questo tempo, la conoscenza di se stessi. La cosa non vale però per lo Sperimentale che meritoriamente onora la memoria di personaggi del calibro di Gian Carlo Menotti, Samuel Barber, Nino Rota e Suso Cecchi D’Amico mentre prosegue nell’opera di divulgazione a tutti di strumenti di conoscenza culturale.
Nella serata appena trascorsa sono andate in scena A hand of Bridge del duo Menotti-Barber e I due Timidi di Nino Rota su libretto di Suso Cecchi D’Amico.
Questi nomi, fatta eccezione per Menotti naturalmente, non sono certo sconosciuti proprio nella città del Festival dei Due Mondi e sarebbe lungo rammentare le tante occasioni di presenza. Ci limitiamo a ricordare la comune frequentazione per studio di Menotti, Barber e Rota, allora poco più che ventenni, del Curtis Institute of Music di Filadelfia. E Suso Cecchi D’Amico nel 1958 fu direttrice della sezione Cinema nella prima edizione della kermesse spoletina.
Memoria, e conoscenza delle proprie radici! La certezza di poter costruire una coscienza sociale e comune su un elemento determinante per la città, quale è la cultura e di cui il Lirico Sperimentale è protagonista e precursore assoluto ancor prima del Festival menottiano.
Rimane sempre un mistero il perchè Gian Carlo Menotti non apprezzasse molto (o molto poco) il Jazz. Sta di fatto che il cosiddetto “tema delle carte”, che apre A hand of Bridge, è una semplice e accattivante intro composta da Barber nello classico stile dei jazz club americani dell’epoca (1959 anno del debutto a Spoleto). Ora è nota la nostra cialtroneria nella ricerca di elementi comuni musicali tra esperienze diverse e anche questa volta il tema delle carte di Barber ci ha fatto subito ricordare (la memoria come conoscenza…) Fred Buscaglione e compari quando cantano Noi Duri nell’omonimo film di Camillo Mastrocinque. Una cialtronata piccola piccola, che abbiamo la pretesa -o la speranza- possa rafforzare il concetto di curiosità e interesse per i fatti artistici.
Questa operina o anche Pocket Opera che Menotti, il librettista, e Barber avevano pensato per le rassegne Fogli d’album e Album Leaves, rispettivamente dedicate a produzioni europee e americane nelle prime edizioni festivaliere, aveva il pregio assoluto di condensare una serie di temi importanti sia musicali che di narrazione in un tempo piccolo di nemmeno 10 minuti. Una sperimentazione molto apprezzata all’epoca e che in qualche modo fa ripensare al ruolo degli Intermezzi settecenteschi, di cui il Lirico è fervido sostenitore e archeologo senza sosta. Per Spoleto è stata una riscoperta deliziosa che ha entusiasmato il pubblico presente al Teatro Nuovo e che ha applaudito generosamente al termine della rappresentazione.
La storia è presto detta: Stati Uniti, anni Cinquanta, interno di una casa borghese. Sedute al tavolo per giocare a bridge due coppie: David, un facoltoso uomo d’affari, sua moglie Geraldine, Bill, un
avvocato, sua moglie Sally.
Durante una ‘mano’ della partita in corso affiorano una dopo l’altra le voci intime di ognuno, esprimendone sofferenze e insoddisfazioni represse: Sally, frustrata perché condannata nel gioco a “fare il morto”, vorrebbe tanto acquistare un certo cappello; Bill, marito fedifrago, è a sua volta geloso della sua amante; Geraldine, moglie di mezza età, patisce la mancanza d’amore e l’impossibilità di recuperare un rapporto con sua madre; David, già benestante, vagheggia una vita libera da obblighi e costrizioni,
consapevole comunque che non c’è alternativa alla routine cui vorrebbe sfuggire. È lui a chiudere la ‘mano’ di bridge con una briscola.
La storia scritta da Suso Cecchi D’Amico e musicata da Nino Rota, fa de I due Timidi una perfetta candidata per un Intermezzo di nuova concezione. Meno settecentesco ma ugualmente pieno di equivoci e malintesi frutto sempre di un amore non chiaro nelle intenzioni o non corrisposto tra due protagonisti, uomo e donna-Mariuccia e Raimondo– intorno ai quali si dimena una società frutto del suo tempo. Una Pensione scalcagnata guidata da una zitella, un medico più cerusico che figlio di Ippocrate, un ciabattino, saggio narratore, e le immancabili pettegole che stendono il bucato. Una sorta di microcosmo a metà tra il basso napoletano e la casa di ringhiera milanese. Geniale Nino Rota che con la sua partitura riesce in meno di 60 minuti a descrivere un mondo, una storia dello stesso e frazioni di carattere di ognuno dei protagonisti. Una bomboniera di bellezza si potrebbe dire. Mariuccia e Raimondo saranno vittime della loro timidezza o forse della ragionevolezza e dell’interesse sociale? Chissà, vi lasciamo andare a teatro ovviamente a vedere queste due meraviglie, non senza aver prima ricordato che il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto volle accogliere, il 29 settembre 1973, l’unica edizione diretta dall’Autore. La memoria!
Il regista di queste due proposte, Giorgio Bongiovanni (profondo conoscitore del Lirico Sperimentale) scrive nelle sue note di regia, “la diversità diventa ricchezza; la differenza di stile, di ambienti, di
lingue, racconta la stessa storia, dolce e amara, delle nostre esistenze.”
E basterebbe la saggezza di questa frase per capire come Bongiovanni sia sempre il miglior timoniere a cui affidarsi per solcare mari complessi e “nervosi”. Per farlo ovviamente occorre una esperienza notevole e Bongiovanni è frutto di una scuola importante come quella di Giorgio Strehler a Milano.
Giorgio Bongiovanni, nelle varie regie viste durante questi anni al Lirico Sperimentale è sempre stato un esperto dosatore di sentimenti, dallo humor alla drammaticità, ma tutti perfettamente calati nel giusto contenitore, senza sbavature o sgocciolii e, in special modo, senza facili e ridicole piacionerie.
In A hand of Bridge, il regista intuisce il senso della immobilità pensosa (F.T. Marinetti) dei protagonisti, ma per non renderla una difficilissima quanto impossibile inazione intorno ad un tavolo, complice lo scenografo Andrea Stanisci, inventa un movimento ampio di lancio delle carte su una sorta di misterioso elemento cubico che per la nostra solita cialtroneria, individuiamo come una sepoltura a sarcofago, ma che potrebbe essere tranquillamente anche una edizione ridotta del monolito di Stanley Kubrick in 2001:Odissea nello spazio. E la cosa ha un senso in quanto, vista la dimensione dell’elemento scenico, nessuno sa come possa finire davvero quel lancio di carte. Brillante!
Ne I due Timidi, Stanisci inventa un album di disegni geometrici, come si trattasse di uno studio preliminare di arredamento che fanno da fondale e quinte per lo svolgimento della storia di Mariuccia e Raimondo. Molto utile il gioco di luci di Eva Bruno per contestualizzare un movimento o un luogo. E come sempre in entrambe le opere assolutamente adatti i costumi di Clelia De Angelis che rendono immediatamente comprensibile dove ci si trova e perchè.
E Giorgio Bongiovanni nel caso del lavoro di Nino Rota, tira fuori tutta la sua capacità di mentore per giovani attori, caratterizzando i personaggi come si conviene, e aiutando i giovani cantanti dello Sperimentale e svolgere il loro compito principale -cantare- senza affanni di sorta.
Come di consueto non vogliamo commentare le singoli voci del cast che ha preso parte alle due opere, ma vogliamo di nuovo ringraziare il Lirico per continuare a scegliere sempre il meglio che c’è tra le nuove voci in circolazione. Tra alcuni ritorni graditi e novità sorprendenti, sottolineiamo come in alcuni passaggi de I due Timidi occorrano doti spiccate di vocalità ed espressività, che i giovanissimi vincitori del Concorso “Comunità Europea” hanno nelle loro corde.