C’è più di un motivo per essere entusiasti del debutto de La porta divisoria, andata in scena al Teatro Caio Melisso di Spoleto per la 76a Stagione del Teatro Lirico Sperimentale.
Innanzitutto si tratta di una prima mondiale assoluta e solo questo rende merito a chi ha aperto un cassetto sconosciuto ai più, dove la preziosa partitura di Fiorenzo Carpi su libretto di Giorgio Strehler giaceva dimenticata ed incompiuta da decenni.
Entusiasmo che si rafforza per il fatto che l’Ente lirico spoletino ne ha fatto un progetto fattibile e non solo per la semplice volontà di rappresentarla, ma anche per aver permesso ad Alessandro Solbiati di scrivere l’intero quinto quadro mancante nel lavoro di Carpi e farne un opera completa e funzionante.
Ed infine entusiasmo che si tramuta in gioia incontenibile (soprattutto per chi scrive) per aver dimostrato che fare Teatro Musicale è sicuramente un modo diverso di produrre un Opera, ma solo se creata da veri professionisti, che non spaccino per “nuova forma di Opera” quattro cialtronate da guitti di fiera paesana con la pretesa che un pubblico aduso alle belle cose, come quello che solitamente frequenta il Festival dei Due Mondi ed il Lirico Sperimentale, ci creda pure.
Cosa sia stato il sodalizio artistico tra Fiorenzo Carpi e Giorgio Strehler al tempo della Milano di fine anni ‘50 possiamo solo immaginarcelo. I due peraltro lavoreranno insieme per quasi 50 anni. Una città che ribolliva di fermenti culturali come forse solo in pochi altri luoghi d’Italia poteva accadere. Il grande Sun Ra che la sapeva lunga sui mondi extraterrestri avrebbe detto di Milano “Space is the Place” (lo Spazio è il luogo)
La musica di Carpi ne è un esempio lampante. Nei primi 4 minuti della bellissima Overture de La Porta divisoria, si sente la familiarità con il mondo compositivo che ruotava intorno a quel faro che fu lo Studio di Fonologia della Rai di Milano. Bruno Maderna, Franco Donatoni e Luciano Berio sono solo alcuni dei nomi che impreziosivano quel tempo creativo in cui fece la sua apparizione anche uno strampalato e squattrinatissimo John Cage.
Ma tutta la partitura de La Porta divisoria è comunque interessantissima, e rappresenta molta parte dell’intera opera. Una verità che non si può nascondere, perché il libretto di Giorgio Strehler, per quanto il grande regista strappi di continuo le consuetudini, è obbligato al testo de La Metamorfosi di Kafka da cui tutta la vicenda prende atto e poco può deviare. Se non per una serie di dettagli che offrono spunto per alcune riflessioni sul ruolo sociale della famiglia di stampo borghese. Ci riferiamo ai due monologhi di Gregorio Samsa in cui la frattura sociale appare evidente nella denuncia del diverso non accetto.
E bene fa, in tal senso, il condirettore del Lirico, Enrico Girardi, a pubblicare nel libretto di sala la lettera che Strehler scrive a Carpi accompagnandola alla consegna del Finale del libretto. Tra una affettuosità ed una spiegazione sullo sviluppo della scena, compare qua e la una certa difficoltà nel lavoro di insieme, come se Carpi avesse scritto la musica ad una velocità troppo elevata, non in sincronia con la redazione del libretto. Cosa questa che porta Strehler a scrivere frasi del tipo “importa che la tua musica funzioni…Importa che tu abbia fatto una musica.”
Da qui a pensare che sia stato un momento di incomprensione o tensione, o magari solo l’esortazione premurosa ad una fraterno amico in difficoltà, si rischia di fare il processo alle intenzioni e la cosa francamente non ci è mai interessata. Fatto sta che il Quinto quadro di Carpi non arriverà mai.
Ci penserà Alessandro Solbiati a generare il finale di questa incompiuta, emulo di Alfano e Berio nella composizione del finale della Turandot abbandonata prematuramente da Puccini.
E bene fa lo stesso Solbiati a intitolare la partitura del Quinto quadro Quell’ultimo Buio. Un pezzo magistrale di grande descrittività dove il compositore fa emergere, forse, il vero problema dei quadri precedenti: la coabitazione tra il teatro di parola di Strehler e la necessità di stringere un testo nella musica narrativa e sperimentale di Carpi.
Come accennato, per una operazione importante come questa, sulla musica contemporanea, occorre un cast di professionisti comprovati quali sono da sempre per il Lirico il regista Giorgio Bongiovanni, lo scenografo Andrea Stanisci e il Direttore d’Orchestra Marco Angius. Ognuno di loro nelle note in calce nel libretto di sala accenna ad elementi essenziali del lavoro svolto.
Dice Marco Angius, “La partitura de La Porta divisoria è un lavoro di teatro musicale che riesce a coniugare le tendenze dell’avanguardia, con la musica concreta e il rumorismo sperimentale”. Occorre infatti una certosina attenzione e capacità per rendere distinguibile e al tempo stesso identificabile il rumore di un tram che passa e la descrizione di un colazione a casa (come nel primo quadro). Angius è un esperto direttore che sa cosa fare. E lo fa in forza della riduzione della partitura a Ensemble musicale da parte di Matteo Giuliani che compie un lavoro straordinario, quanto complesso, che Angius rimette in linea come se il tutto fosse sempre stato nella forma attuale.
Giorgio Bongiovanni ne sa qualcosa di Giorgio Strehler e non poteva che essere lui il regista di questa Opera. A parte la boutade, Bongiovanni, coadiuvato da Biancamaria D’Amato, si dimostra ancora una volta il solido conduttore della ciurma dei giovani cantanti vincitori del Concorso “Comunità Europea”. Mentore e apprezzatissimo professionista tratteggia con la sua regia le ridicole debolezze di una umanità che si posiziona volutamente oltre una porta, incapace di accettare il diverso.
“Commedia, sghignazzo, tragedia e pianto, il tutto in un solo luogo e momento come nella vita”, sostiene Bongiovanni, mentre il vero mostro, nella messa in scena spoletina, è il pubblico che guarda il palcoscenico come il povero Gregorio Samsa, ormai scarafaggio, guarda il mondo oltre la porta della sua camera da letto.
Fondamentali come sempre le scenografie di Andrea Stanisci le luci di Eva Bruno e i costumi di Clelia De Angelis.
Di tutti i ragazzi del Lirico possiamo solo dire un gran bene, per la disponibilità e per la grandissima voglia di crescere in uno dei contesti più qualificati e completi d’Italia nell’insegnamento e nella pratica scenica operistica. Non possiamo misurare compiutamente nel caso specifico le qualità vocali di tutti loro perché, trattandosi di Teatro musicale, la parte vocale cantata è poca cosa. Ben altro è la prova della voce in una opera intera e della durata ben superiore ai quasi 54 minuti de La Porta divisoria.
Ed è per questo che li citeremo tutti con grande affetto e augurando loro fulgide carriere:
Davide Romeo, Elena Finelli, Oronzo D’Urso, Alfonso Michele Ciulla, Giacomo Pieracci, Antonia Fino, Simone van Seumeren, Veronica Aracri, Antonia Salzano, Davide Pieroni, Elena Salvatori, Federica Tuccillo, Giordano Farina.
E quando un lavoro corale come questo giunge al termine è bene che il segno impresso nella memoria del pubblico “mostro” possa essere simile ad un improvviso e definitivo cortocircuito. Un colpo secco, e via!
L’accordo finale del quinto quadro, l’incompiuto, scritto da Alessandro Solbiati è esattamente questo. Una interruzione improvvisa di corrente che fa perdere a tutti l’orientamento cosciente, tranne la memoria di ciò che in noi è rimasto di tutto il tempo di veglia in cui avevamo energia a sufficienza per alimentarci, o meglio abbuffarci di informazioni.
E mentre il povero Gregorio Samsa, o meglio i suoi resti mortali, escono dalla porta chiusi in una cassetta, il pubblico mostro esce dal contenitore perfetto del Teatro Caio Melisso e se ne va, soddisfattissimo, con le proprie gambe.
Miracoli del Teatro musicale, quello vero!