Marco tra qualche giorno compirà diciotto anni. Da tempo vive in una struttura residenziale di accoglienza. Ma con la maggiore età dovrà lasciare le poche sicurezze che ha costruito in questi ultimi suoi mesi. A casa, con mamma e papà, non vuole tornare. E loro, mamma e papà, non lo vogliono. Anna invece la festa dei diciotto non l’ha neanche assaporata. Ha chiuso gli occhi prima. Nella stanza che è stata la sua da sempre, da quando è nata. E lì che i suoi genitori l’hanno lasciata appena dopo essere venuta alla luce: la sua disabilità era troppo per loro. E hanno preferito provare a fare finta che non fosse mai esistita.
Marco, Anna sono nomi di fantasia. Le loro storie, invece, sono drammaticamente vere. Come quelle degli oltre 450 minori che in Umbria vivono fuori dalla famiglia di origine. Bimbi, ragazzini, adolescenti con la valigia. Finiti in un sistema di accoglienza e assistenza che a volte inciampa tra scartoffie e affari. Perché quello dell’affidamento famigliare – purtroppo – è anche un business.
L’affido famigliare è regolamentato dalla legge 4 maggio 1983 numero 184 “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori”, modificata dalla legge 28 marzo 2001 numero 149. Si tratta di un intervento che si pone l’obiettivo di garantire al minore – la cui famiglia di origine si trovi nella temporanea impossibilità o incapacità di prendersi cura di lui – le cure e gli affetti necessari. L’affido si prefigge al contempo di recuperare la famiglia di origine del minore in modo da consentirgli il rientro a casa una volta risolta la situazione che ne ha provocato l’allontanamento. L’affido ha carattere di temporaneità e può essere stabilito con il consenso dei genitori biologici del minore oppure in forma giudiziale e quindi disposto dal tribunale dei minorenni. La legge “predilige” l’affidamento ad una famiglia possibilmente con figli minori o ad una persona singola, prevedendo che ove non sia possibile darvi luogo, sia consentito “l’inserimento del minore in una comunità di tipo famigliare”, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui risiede stabilmente il nucleo familiare di provenienza.
Avere un quadro esaustivo e dettagliato dei minori fuori dalla famiglia non è cosa semplice. Lo ha rilevato dapprima una indagine conoscitiva realizzata dalla commissione parlamentare su infanzia e adolescenza e poi l’autorità garante per l’infanzia, che hanno parlato di numeri non sempre certi e di dati raccolti con difficoltà, soprattutto a livello nazionale. Per quanto riguarda l’Umbria, l’ultimo dossier è stato pubblicato nel 2012 – relativamente alla situazione del 2009 – mentre qualche settimana fa, l’affido famigliare è stato oggetto a palazzo Cesaroni di una interrogazione a risposta immediata da parte del consigliere regionale Sergio De Vincenzi nei confronti dell’assessore alla sanità, Luca Barberini. “L’annualità 2016-2017 – illustra l’assessore – è in fase di rendicontazione. Per quanto riguarda il 2015, nei servizi residenziali, esclusi i maggiorenni e i bambini accolti con i genitori maggiorenni, erano presenti nelle strutture regionali 224 bambini, di cui 89 di cittadinanza straniera e 58 minori stranieri non accompagnati. Di questi, 125 minori sono stai collocati in comunità socio-educative e 55 in comunità familiari. Sempre al 31 dicembre 2015, il totale dei minorenni collocati in affidamento a singole famiglie e parenti, esclusi i maggiorenni, è di 232, di cui 62 di cittadinanza straniera”.
Se è complicato sapere quanti sono i minori in affidamento, ancora di più lo è sapere quante sono le famiglie che accolgono. Le famiglie affidatarie vengono sottoposte ad un iter formativo al termine del quale si accede ad una “banca delle famiglie affidatarie” dalla quale poi i servizi territoriali dovrebbero attingere nel momento in cui si presenta la necessità di mandare un minore in affidamento. Un elenco regionale però non esiste – o almeno non è pubblico – né l’assessore Barberini ha fornito elementi utili a riguardo durante la discussione in consiglio regionale. Il dato può essere in qualche modo ricavato a partire dalla cifra complessiva erogata come contributo alle famiglie affidatarie. Le cifre sono datate visto che fanno riferimento al 2009, però potrebbero bastare per inquadrare la situazione. L’entità del contributo mensile per ogni bambino assegnato alle famiglie affidatarie oscilla tra 200 e 450 euro: nel 2009, la somma complessiva erogata in Umbria è stata di circa 450.000 euro. Il che sta a significare che allora c’erano in Umbria circa 120 famiglie – o single – affidatarie.
Questo numero deve essersi ridotto perché, nel frattempo, un altro dato ha subito un importante incremento. Dopo la Valle d’Aosta, l’Umbria è infatti la regione in cui più alto è stato l’incremento relativo al numero di comunità presenti sul territorio. Che sono passate dalle 24 del 2014 alle 31 del 2015 (ultimo dato disponibile), ossia il 29% in più a fronte di un aumento medio nazionale del 5%.
Al crescere delle strutture, cresce anche il costo che viene sostenuto dal pubblico. Anche in questo caso, l’unico punto di riferimento rischia di essere datato, ma è comunque un elemento di prima riflessione. Dice infatti il dossier pubblicato dalla Regione Umbria nel 2012 che la spesa annuale sostenuta nel 2009 per l’inserimento di minori (erano allora 263) nei servizi residenziali era complessivamente di quasi 5,7 milioni di euro (più di dieci volte in più rispetto al contributo erogato alle famiglie affidatarie) per una retta media giornaliera prossima ai 90 euro a minore (per gli stranieri è di circa 45 euro al giorno, ma si sta dibattendo sulla opportunità di equiparare i costi). Il quadro generale è però probabilmente cresciuto: la relazione dice infatti, ad esempio, che l’ambito territoriale che fa riferimento a Todi spendeva nel 2009 complessivamente 120.000 euro l’anno, mentre oggi – all’interno di quello stesso ambito – il solo Comune di Todi spende circa 200.000 euro l’anno per i minori in affidamento – tutti in strutture residenziali – e quello di Deruta circa 225.000.
Poche famiglie, spese che lievitano e molte incognite sul destino dei minori. Nonostante i buoni propositi. “Il collocamento dei minori fuori dalla propria famiglia di origine per le conseguenze traumatiche sul percorso evolutivo dei minori e delle rispettive famiglie e per gli elevati costi sociali, deve essere dunque sempre attentamente valutato e limitato nel tempo per quanto possibile e costituire l’ultimo rimedio cui si ricorre, qualora non vi siano alternative possibili nell’interesse del minore”. La commissione parlamentare sottolinea perciò la necessità di “privilegiare l’affidamento intrafamigliare rispetto al collocamento presso le comunità famigliari” e quella di favorire – laddove possibile – il mantenimento delle relazioni con la famiglia di origine. Tracciando insomma una strada che sembra essere apprezzata anche dall’Umbria che, con il nuovo regolamento in materia di servizi per minorenni, vorrebbe sviluppare “percorsi per favorire l’affido affinché i minori non restino nelle strutture”. Una strada che però sembra ancora molto poco battuta.