Categorie: Perugia Politica

Legambiente contro l'inceneritore di Perugia: si riapra il piano regionale rifiuti

Legambiente è intervenuta oggi sul dibattito sul trattamento termico dei rifiuti nell'Ati2, riaperto ieri in consiglio regionale da una mozione Pdl – Lega che proponeva il trattamento termico direttamente nei cementifici di Gubbio e Spoleto.

“In Umbria si continua a dibattere di rifiuti parlando solo di chiusura del ciclo. E' lo stesso errore commesso in Campania – si legge nella nota di Legambiente – tralasciando sistematicamente di discutere di quale gestione efficiente ed economica avviare, di come ridurre i rifiuti, di come fare un'efficace raccolta differenziata porta a porta e di come attrarre le aziende del riciclaggio, che recuperano le materie prime secondarie di cui la nostra regione e il nostro paese così povero di materie prime ha bisogno”.

Sin dal 2008 in occasione della partecipazione alla discussione sul Piano Regionale Gestione dei Rifiuti, Legambiente ha più volte scritto che occorreva e occorre “affrontare il problema dei rifiuti partendo dalla testa” e rispettare realmente la gerarchia delle 4R, e non solo a parole, e suggeriva che la scelta delle modalità di smaltimento dovesse essere decisa, finanziata e realizzata solo dopo che le azioni per la raccolta differenziata avessero avuto modo e tempo di dispiegare tutte le loro potenzialità: ad esempio, solo dopo che la raccolta differenziata finalizzata al riciclaggio avesse raggiunto la percentuale del 65 per cento.

Da queste riflessioni nasce la contrarietà di Legambiente alla realizzazione di nuovi inceneritori, vecchi, nuovi e riadattati. “Ciò che più convince è che se è vero che tutto il ciclo integrato previsto dal Piano è finalizzato alla riduzione dei rifiuti, è evidente che non sarà possibile conciliare un flusso di rifiuti in continua doverosa e ineludibile decrescita con un impianto come l'inceneritore che necessita tecnicamente ed economicamente di un flusso continuo e stabile di rifiuti”, scrive Legambiente.

“Tra l'altro gli inceneritori non servono nemmeno a chiudere le discariche, ma al contrario contribuiscono a nutrirle con le loro scorie e le loro ceneri, tutti materiali altamente tossici”.

“Il nostro NO all’incenerimento della frazione residua secca – continua la nota di Legambiente – non nasce quindi da un atteggiamento ideologico, né da una valutazione soltanto emotiva dei pericoli per la salute che comunque sono un pericolo reale, ma da una attenta analisi ecologica, tecnica, economica e sociale dello strumento inceneritore che appare quanto mai inadeguato oltre che terribilmente costoso”.

Secondo Legambiente, “Per evitare la costruzione di un nuovo inceneritore dedicato, come si vorrebbe fare a Perugia e la realizzazione del cosiddetto camino unico di Terni, e per abbandonare gradualmente l’utilizzo delle discariche – un modo di (non) smaltire rifiuti non sostenibile – le alternative praticabili ci sono. Esperienze concrete e non isolate, ci indicano chiaramente la strada da seguire, quella che non viene percorsa in Umbria: una raccolta differenziata spinta sia della frazione organica che di quella secca, che la legge impone del 65 per cento, ma che può raggiungere percentuali ben più ambiziose”.

“Le scarse percentuali di raccolta differenziata che si registrano ancora in questa regione e l'attuale crisi economica – conclude la nota di Legambiente – ci impongono un radicale ripensamento del governo dei rifiuti nella nostra regione secondo criteri diversi da quelli dell'attuale Piano dei Rifiuti. Occorre che tutti, amministrazione regionale e locali, forze politiche, associazioni, cittadini, siano disponibili a riaprire il confronto sulle ipotesi alternative all'incenerimento, senza escluderne in maniera pregiudiziale ed ideologica nessuna, dal riciclaggio del rifiuto secco a monte della raccolta differenziata e degli altri trattamenti di stabilizzazione come a Capannori o Vedelago, fino al CDR da usare come co-combustibile nei cementifici che non necessariamente devono essere umbri, visto che il CDR come co-combustibile ha un mercato. E' necessario infatti che anche le istituzioni facciano i conti ambientali ed economici delle opzioni sul tavolo, sempre con l’occhio all’Europa”.