Ben 27 arresti tra l’Umbria e la Calabria nella vasta operazione condotta dalla polizia di Stato contro alcune storiche cosche della ‘ndrangheta. Dalla Calabria, infatti, la ‘ndrangheta si era infiltrata in modo significativo anche in Umbria.
Tra le decine di arresti effettuati dalla squadre mobili di Catanzaro, Reggio Calabria e Perugia, coordinate dallo Sco (Servizio centrale operativo) sotto la direzione delle Procure di Catanzaro e Reggio Calabria, ce ne sono infatti diversi anche in Umbria.
Sequestrati beni per 10 milioni di euro alle cosche Trapasso, Mannolo, Zofreo di San Leonardo, Commisso di Siderno. Eloquente il contenuto di alcune intercettazioni, che dimostrano come anche nel Perugino le cosche gestissero i loro affari.
I dettagli delle operazioni – due diverse – condotte sotto la direzione delle Procure distrettuali di Catanzaro e Reggio Calabria, dirette dai procuratori Nicola Gratteri e Giovanni Bombardieri, sono stati illustrati a Catanzaro alla presenza anche del direttore centrale anticrimine della polizia di Stato Francesco Messina, già questore di Perugia.
In tutto, come detto, sono stati eseguiti 27 provvedimenti restrittivi disposti dai gip dei rispettivi Tribunali nei confronti di appartenenti alle cosche Trapasso e Mannolo di San Leonardo di Cutro e Commisso di Siderno, che hanno evidenziato significative proiezioni in Umbria.
L’operazione della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro (pm Antonio De Bernardo, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio), denominata “Infectio”, condotta dal Servizio Centrale Operativo e dalle Squadre Mobili di Perugia e Catanzaro, ha determinato l’emissione da parte del gip catanzarese Paola Ciriaco di 23 misure cautelari (20 in carcere e 3 ai domiciliari) nei confronti altrettanti soggetti, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, detenzione e occultamento di armi clandestine, minacce, violenza privata, associazione a delinquere finalizzata alla consumazione di una serie di reati di natura contabile o economico-finanziaria strumentali alla realizzazione sistematica di frodi in danno del sistema bancario.
Nello specifico, l’indagine, approfondendo quanto emerso già nell’operazione “Malapianta” dello scorso maggio, ha disvelato la perdurante operatività delle cosche di ‘ndrangheta Mannolo, Zoffreo e Trapasso di San Leonardo di Cutro (KR) e la loro proiezione in territorio umbro, dove, attraverso stabili collegamenti con la casa madre avevano impiantato un lucroso traffico di stupefacenti, anche con la complicità di trafficanti albanesi, minato, attraverso attività estorsive, la libera concorrenza nella esecuzione di lavori edili, nonché attivandosi a favore di soggetti candidati alle elezioni amministrative locali.
Inoltre, il sodalizio criminale, al quale viene contestato anche la detenzione di armi, aveva inquinato il tessuto economico attraverso la predisposizione di società, spesso intestate a prestanome o soggetti inesistenti, in grado di offrire prodotti illeciti (in primis fatture per operazione inesistenti) a favore di compiacenti imprenditori. Un business, quest’ultimo, che ha visto il coinvolgimento anche di soggetti contigui alla ndragheta vibonese e che ha consentito al sodalizio di lucrare cospicui guadagni attraverso sofisticate truffe in danno di diversi istituti di credito e complesse operazioni di riciclaggio del denaro di provenienza delittuosa.
Contestualmente alla esecuzione delle misure cautelari personali, si è proceduto, pertanto, al sequestro di numerose società aventi sede in Umbria, Lazio e Lombardia attraverso le quali l’organizzazione criminale realizzava i citati reati economico finanziari.
Al contempo, con l’operazione, denominata “Core Business”, la Procura distrettuale di Reggio Calabria (procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, sostituti Simona Ferraiuolo e Giovanni Calamita e Antonio De Bernardo, applicato al procedimento dalla Direzione Nazionale Antimafia), nell’ambito di indagini condotte dalle Squadre Mobili di Reggio Calabria e Perugia, ha dato esecuzione ad un’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, con contestuale decreto di sequestro preventivo, emessa dal gip presso il Tribunale di Reggio Calabria nei confronti di 4 soggetti ritenuti responsabili di associazione mafiosa in quanto esponenti di vertice ed appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta Commisso di Siderno (RC). Tra essi figura lo storico leader Cosimo Commisso, alias “u quagghia”, scarcerato nello scorso mese di gennaio 2019.
In particolare, le odierne indagini- che rappresentano la naturale prosecuzione dell’operazione “Acero-Siderno Connection”- hanno consentito di accertare la perdurante attività del sodalizio dei Commisso di Siderno e sono state avviate a partite dal 2015, allorquando Cosimo Commisso, dopo un lungo periodo di detenzione, si stabilì a Perugia, località Casa del Diavolo, per scontare la misura della detenzione domiciliare, che gli permise di riallacciare i contatti con altri esponenti di spicco del sodalizio, in particolare con un referente imprenditoriale in Umbria della famiglia Crupi.
Proprio con quest’ultimo, Commisso avrebbe affrontato la problematica legata alla salvaguardia dei beni dei Crupi da probabili provvedimenti ablativi dell’autorità giudiziaria; attraverso di cui il boss inviava messaggi ad altri sodali di Siderno, ed individuava terreni nella zona di Perugia da destinare a vigneti per la produzione di vino da commercializzare in Canada per il tramite di soggetti contigui al Commisso.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Cosimo Commisso avrebbe manutenuto anche contatti in Umbria con esponenti di altre organizzazioni ‘ndranghetistiche operanti nella provincia di Crotone (appunto con esponenti della locale di San Leonardo di Cutro, investigati nell’indagine catanzarese), con cui condivideva dinamiche e questioni di carattere associativo e progettava iniziative imprenditoriali comuni.
Tra i destinatari del provvedimento cautelare del gip di Reggio Calabria Giovanna Sergi figura, con un ruolo di spicco, anche il figlio di Cosimo, Francesco Commisso, classe 1983, già coinvolto nell’operazione “Crimine”, nel corso della quale era stato individuato come “Capo giovani”.
L’operazione “Core Business” fa luce sugli interessi economici della cosca Commisso e sui rapporti con professionisti e manager, come Giuseppe Minnici, businessman di riferimento dell’organizzazione, soprattutto in Umbria.
Il referente in Umbria e Giuseppe Minnici – unitamente ai fratelli Crupi e una donna -, sono anche indagati per aver compiuto azioni simulate – finalizzate ad agevolare l’associazione mafiosa – che con il sistema di “scatole cinesi” messo a punto per schermare il patrimonio economico e celare le effettive possidenze, contribuivano ad occultare la riconducibilità piena ed effettiva in capo ai fratelli Crupi della società Anghiari Residence s.r.l. in provincia di Arezzo, oggetto di decreto di sequestro preventivo.
La società Anghiari Residence s.r.l. – già oggetto di sequestro di prevenzione disposto dal Tribunale di Latina – sarebbe stata un’attività imprenditoriale nella reale disponibilità dei Crupi e della consorteria criminosa sidernese, strumentale alla realizzazione del programma criminoso della consorteria.
Prova ne è, secondo il gip, il fatto che costituiva oggetto di intervento anche da parte di Cosimo Commisso il quale, temendo il sequestro, si prodigava per salvaguardare l’integrità delle possidenze economiche del gruppo di cui la società predetta faceva evidentemente parte.
Il valore complessivo dei beni sottoposti a sequestro nelle suddette operazioni ammonta a circa 10 milioni di euro.
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