Le Frappe umbre: il dolce che sussurra storie d’inverno - Tuttoggi.info

Le Frappe umbre: il dolce che sussurra storie d’inverno

Laura Caldara

Le Frappe umbre: il dolce che sussurra storie d’inverno

Ogni famiglia umbra ha la propria ricetta segreta, tramandata di generazione in generazione, ma la base rimane la stessa
Gio, 27/02/2025 - 10:26

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Ogni famiglia umbra ha la propria ricetta segreta, tramandata di generazione in generazione, ma la base rimane la stessa

“Nel cuore dell’inverno, quando le ombre si allungano e il vento danza tra i vicoli antichi, il profumo delle frappe si leva nell’aria, intrecciando passato e presente in un abbraccio di dolcezza.”

C’è un momento, in Umbria, in cui il tempo sembra sospendersi. Tutto resta sospeso, come il sorriso trattenuto di un bambino prima di esplodere in una risata. È il Carnevale, quella festa capace di ribaltare l’ordine del mmdo e del tempo, di accendere colori nuovi tra le vie addormentate dell’inverno, di riempire l’aria di suoni, voci, vita. È il tempo dell’allegria senza freni, delle maschere che confondono e svelano, dei coriandoli che si lasciano trasportare dal vento come minuscoli frammenti di sogni.

In questo teatro gioioso, tra il fruscio delle stoffe che svolazzano in festa e il profumo dolce di promesse d’infanzia, c’è sempre un vassoio che spicca sulle tavole imbandite, quasi fosse un pegno di gioia tramandata nel tempo: le frappe. Sottili e leggere come un sospiro, dorate come il sole di febbraio che si insinua tra i rami di spogli alberi, fragranti come un ricordo che torna a farsi presente. Si spezzano tra le dita con un suono lieve, croccante, quasi un sussurro. È il suono delle mani esperte che, generazione dopo generazione, le hanno impastate con pazienza, stendendole sottili come un velo. È il suono dell’attesa trepidante di un bambino, gli occhi incollati alla nonna che le solleva dall’olio bollente, del bianco zucchero a velo che cade come leggeri fiocchi di neve, sui dolci ancora caldi.

Mordendone una, che lentamente si scioglie in bocca, si ha l’impressione di assaporare la leggerezza stessa. Un soffio di festa, un istante d’allegria che si gusta sulla lingua, mentre il Carnevale continua a danzare tra le vie di borghi antichi. E quando, infine, tutto si dissolve, nell’aria resta quel profumo inconfondibile di memoria e dolcezza, la sensazione di un tempo che, almeno per un momento, ha davvero saputo fermarsi.

La loro storia affonda le radici nei giorni lontani dell’Antica Roma, quando l’inverno si accendeva di risate e di eccessi nei Saturnali.

Era il tempo del sovvertimento, dell’illusione di un mondo capovolto, dove gli schiavi diventavano padroni e le rigide regole quotidiane si dissolvevano in un vortice di libertà e festa. Le strade vibravano di canti scomposti, le torce illuminavano volti celati dietro maschere, e nei grandi banchetti il vino scorreva abbondante, mescolandosi ai profumi di piatti sontuosi. In quei giorni sospesi tra realtà e sogno, comparivano sulle tavole le frictilia, dolci semplici eppure preziosi: frittelle di farina e uova immerse nello strutto bollente, avvolte da un velo dorato di miele. Un’offerta agli dèi, un dono alla gioia, un sapore destinato a sfidare il tempo e sopravvivere ai secoli.

Con il passare degli anni, quella ricetta viaggiò di terra in terra, portata dal vento delle tradizioni, accolta dalle mani sapienti che la adattarono al proprio dialetto, alla propria storia. E così, come un racconto che cambia voce ma non significato, mutarono i nomi: chiacchiere in Lombardia, cenci in Toscana, bugie in Piemonte, galani in Veneto, crostoli in Trentino. Ma in Umbria, così come nel Lazio e nelle Marche, rimasero frappe. Un nome che non è solo un suono, ma un rituale: il movimento veloce e preciso con cui le massaie tagliano la sfoglia, la attorcigliano con dita esperte, intrecciando non solo impasto, ma anche storie, ricordi, legami. Ogni striscia di pasta, sottile come un soffio, porta con sé il sapore di un tempo lontano, quando il cibo non era solo nutrimento, ma racconto, appartenenza. Un filo d’oro che unisce passato e presente, intrecciando memoria, casa e festa in un abbraccio senza tempo.

C’è stato un tempo in cui le frappe non erano soltanto un piacere da assaporare, ma un messaggio segreto, un sussurro del destino nascosto tra le pieghe dorate della loro sfoglia sottile. Le nonne umbre raccontavano che la loro leggerezza non era un caso: era un simbolo, un invito a scrollarsi di dosso i pesi dell’inverno e le preoccupazioni prima dell’arrivo della Quaresima. Quel tempo austero, fatto di rinunce e riflessioni, doveva essere preceduto da un’esplosione di festa, un ultimo soffio di dolcezza prima del silenzio della penitenza.

Ma le frappe non erano solo un dolce: erano un oracolo discreto, un presagio scritto nell’olio bollente. Si diceva che più bolle si formavano sulla loro superficie mentre friggevano, più l’anno sarebbe stato generoso. Quelle piccole sfere d’aria, gonfie come semi di speranza, erano il segno di un raccolto abbondante, di giorni felici in arrivo, di un destino benevolo pronto a posarsi sulla casa di chi aveva le mani infarinate e il cuore leggero.

Eppure, c’era una regola che non si poteva infrangere: mai impastarle da soli. Il segreto di una sfoglia perfetta non era solo nella giusta proporzione di uova o nella lavorazione attenta dell’impasto, ma nel ridere mentre si impasta, nel chiacchierare mentre si stende la pasta, nel condividere gesti e parole. Perché la felicità, proprio come le frappe, nasce sottile e fragile, ma si gonfia e si fa leggera solo quando è intrecciata alla presenza degli altri.

Mangiare una frappa è come mordere un frammento di croccante felicità, un istante di leggerezza che si scioglie in bocca mentre il tempo si ripiega su se stesso, riportandoci là dove tutto ha avuto inizio. È il suono della festa che riempie la casa, il crepitio dell’olio bollente che trasforma la sfoglia leggera in un piccolo capolavoro dorato dalle mille forme. È l’aria densa di zucchero a velo e di risate, di voci che si rincorrono tra coriandoli e maschere, di un Carnevale vissuto con gli occhi sgranati di un bambino e custodito, come un tesoro prezioso, nei ricordi di chi porta nel cuore l’infanzia. È il gesto sicuro e paziente della nonna che stende la pasta con mani esperte, il tocco leggero della madre che spazza via un velo bianco di dolcezza dal naso del suo bambino. È la voce di chi, tra una frittella e l’altra, racconta storie di altri tempi, intrecciando passato e presente in un filo invisibile che profuma di memoria.

Ogni morso è un viaggio nel tempo, un legame che resiste, una tradizione che si rinnova nel gusto semplice e perfetto di un dolce che sa di casa. Perché le frappe non sono solo un dessert: sono un rituale d’amore, un ponte tra generazioni, un piccolo frammento di festa che, anno dopo anno, torna a ricordarci chi siamo. Un soffio di dolcezza che sa di attese, di mani che si intrecciano attorno a una tavola imbandita, mentre il Carnevale passa, ma il suo sapore resta.

Ogni famiglia umbra ha la propria ricetta segreta, tramandata di generazione in generazione, ma la base rimane la stessa: semplicità, pochi ingredienti genuini e un pizzico di pazienza.

Ingredienti

  • 250 g di farina 00
  • 2 uova
  • 40 g di zucchero
  • 30 g di burro fuso
  • 1 cucchiaio di grappa (o vino bianco secco)
  • 1 pizzico di sale
  • Olio di semi di arachide per friggere
  • Zucchero a velo per decorare

Preparazione

Disporre la farina a fontana su una spianatoia, rompere al centro le uova e aggiungere lo zucchero, il burro fuso, la grappa e un pizzico di sale.
Impastare con energia fino a ottenere un composto elastico e liscio, poi avvolgere in un canovaccio e lasciarlo riposare per almeno 30 minuti.
Stendere la pasta con un mattarello o con la macchina per la pasta, fino a ottenere una sfoglia sottilissima.
Con una rotella dentellata, tagliare strisce di circa 10 cm di lunghezza e praticare un piccolo taglio al centro, facendo passare una delle estremità attraverso l’intaglio per dare loro una forma attorcigliata.
Scaldare l’olio e friggere poche frappe alla volta, girandole velocemente fino a che non diventano dorate e leggere.
Scolare su carta assorbente e spolverare con abbondante zucchero a velo.

“E così, mentre l’inverno volge al termine e il Carnevale sfuma nel ricordo, resta il sapore dolce delle frappe a ricordarci che la vita, proprio come l’impasto sottile che si gonfia nell’olio bollente, è un soffio leggero da gustare fino in fondo.”

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