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L'addio agli shopper in plastica: la grande vittoria degli ambientalisti italiani

Francesco Ferrante

Approvando con la fiducia il decreto ambientale, la Camera ha praticamente messo fine alla nuova puntata sul divieto agli shopper in plastica. Infatti il passaggio in Senato la settimana prossima sarà piuttosto una formalità. Per dare un giudizio su quest'ultimo provvedimento è utile fare una breve cronistoria.

Il tutto nasce da un nostro emendamento alla finanziaria del 2007 (la prima dell'ultimo Governo Prodi) che prevedeva il divieto di produzione e commercializzazione di shopper non biodegradabili dal gennaio 2010. Una rivoluzione – primo paese al mondo che prevedeva un così drastico divieto – che dava tempo tre anni all'industria chimica del nostro paese di adeguarsi e di cogliere al meglio le opportunità offerte dalla chimica verde e dalla green economy.

Da quel momento invece le lobby della vecchia chimica, dei “plasticari”, hanno puntato tutto sulle proroghe. Brutta consuetudine tutta italiana, e il tentativo per un anno ha successo. Infatti il Governo Berlusconi proroga l'entrata in vigore del divieto al gennaio 2011. Ma poi, con l'unico atto “ambientalista” cui è dato ricordarsi dei suoi tre anni di permanenza al Ministero, Prestigiacomo si impunta e non concede più proroghe. E quindi da più di un anno grazie al divieto nel nostro Paese è cominciata quella rivoluzione.

L'aspetto più importante della quale ė senz'altro la modifica negli stili di vita dei cittadini – quella norma legislativa voluta, non dimentichiamolo, dagli ambientalisti e da Legambiente in primo luogo – si sono dimezzate le vendite di sacchetti, i cittadini hanno preso l'abitudine di portarsi la sporta da casa per fare la spesa, e un sondaggio dell'Ipso conferma che più dell'80% apprezza fortemente quel divieto. Altro aspetto fondamentale, ovviamente, il sostegno alle industrie più innovative della chimica che sostituiscono il petrolio con materia prima di origine vegetale e rinnovabile.

Ma come spesso accade, “fatta la legge, trovato l'inganno” e sul mercato appaiono strani sacchetti “biodegradabili” ma non compostabili, ottenuti grazie ad additivi chimici e partendo sempre dal petrolio. Una specie di truffa che causa grande confusione, quei sacchetti non sono smaltibili insieme ai rifiuti organici, e soprattutto vanifica la spinta verso la green economy.

Da qui si è reso necessario un nuovo intervento legislativo che specificasse oltre ogni dubbio cosa era davvero biodegradabile (ciò che è anche compostabile secondo la norma UNI EN 13432). E così il divieto è stato meglio specificato e la rivoluzione può continuare. Certo gli ostacoli delle lobby non sono finiti e con qualche colpo di coda alla Camera hanno prorogato la possibilità di comminare sanzioni a chi non obbedisce al divieto al Gennaio 2014 e un improbabile ordine del giorno della Lega che vanificherebbe la norma stessa.

Ma tant'è: il divieto c'è e dalla settimana prossima, quando lo approveremo definitivamente in senato, i sacchetti che non siano biodegradabili e compostabili saranno fuori legge e a rischio sequestro. Un successo indubitabile per ambientalisti e industrie della green economy, ma anche di questo Governo che si è battuto nella giusta direzione nonostante una lobby trasversale.