Le parole del Bando di Giostra, vero e proprio inno della Quintana, sono parole immortali. Vanno diritte all’anima e colpiscono il cuore: parole senza tempo, scritte poco più di sessant’anni fa per la verità, ma che sembrano affondare le radici nel lontano ‘600 pur essendo attuali come non mai.
E’ forse proprio questa la magia che riescono a trasmettere quelle frasi: austere e dolci, ardimentose e commuoventi, battagliere e romantiche. Una miscellanea di emozioni che non a caso, rende quel testo a dir poco magico. I quintanari veraci lo sanno a memoria, lo recitano sottovoce come si trattasse di un formula rituale e con la sacralità di una preghiera, per poi esplodere nel finale, in una sorta di urlo liberatorio collettivo, al Campo de li Giochi incitati dall’appassionata voce del banditore, Claudio Pesaresi.
Ma forse non tutti sanno che l’autore del Bando di Giostra è l’avvocato Giuseppe Mancini, folignate doc e quintanaro da sempre – scomparso proprio in questi giorni all’età di 101 anni – fu, uno di quei magnifici protagonisti che hanno riportato in vita la manifestazione. Tra i tanti personaggi che ho avuto l’occasione e il privilegio di intervistare in questi anni, il racconto dell’avvocato Mancini mi è sempre rimasto nel cuore.
Elegante e raffinato come un vero signore d’altri tempi, profondamente innamorato della sua città e della ‘sua creatura’ che fece rinascere insieme ad Emilio De Pasquale, e a suo cugino Giuseppe Calligari dal quale ricevette l’arduo compito di scrivere il testo. Incarico non facile: descrivere qualcosa che ancora sarebbe dovuto avvenire. Promuovere un evento che ancora nessuno aveva mai vissuto, ma che avrebbe dovuto invogliare tutti a viverlo.
La ‘brutta copia’ venne scritta di getto, da Mancini, sul retro di uno stampato della Regia Prefettura di Foligno, ormai inutilizzabile, visto il fresco avvento della Repubblica a seguito dello storico referendum. Pochi minuti, per comporre un elaborato che avrebbe resisto a decenni di storia, che ancora resiste con immutata efficacia e che così resterà anche in futuro. Un’altra curiosità che merita di essere segnalata: l’avvocato non si rifece a testi relativi alla Quintana del 1613 ma trasse la sua ispirazione da un volumetto di Torquato Accetto, autore del ‘600 vissuto ad Andria, guarda caso città natia di Ettore Thesorieri – ideatore della giostra del 10 febbraio 1613 – nonché di Emilio De Pasquale, rifondatore della Quintana ‘moderna’. Galeotto fu il volumetto “Della dissimulazione onesta” stampato a Napoli nel 1641 e poi riscoperto nel ventesimo secolo da Benedetto Croce.
Il tutto fu rivisitato con un sapiente utilizzo del dialetto folignate, la precisa conoscenza del mondo dell’equitazione e soprattutto con l’amore viscerale per Foligno. Nello scrivere il bando, l’avvocato Mancini non avrebbe mai pensato – come mi disse qualche anno fa nel corso della trasmissione ‘Quintanando’ – che quelle righe sgorgate di getto sul retro di un vecchio foglio ormai inutilizzabile, sarebbero rimaste attuali sino ad oggi, senza nemmeno una correzione. E proprio ora, è quantomai attuale la parola ‘concordia’ quel concetto ritenuto all’epoca fondamentale per invitare tutte le genti “a gioir di Vittoria, anco se arride altrui, ché la concordia e l’amor de la Cittade tutta son pur Vittoria e bella e grande!” Era inno alla pacificazione, alla rinascita, all’unità, a superare le divisioni, per salvarsi insieme da una crisi di sistema, lasciando alle spalle interessi di parte per lavorare uniti al bene superiore della comunità cittadina. E oggi la storia sembra beffardamente ripetersi.
Proprio questo, proprio l’amore e la concordia di Foligno e per Foligno, furono effettivamente la vittoria più grande, lo scopo stesso per il quale tornò in vita la Quintana. E grazie all’avvocato Giuseppe Mancini, quello spirito, che poi è lo spirito quintanaro, è ancora vivo, proprio come nel momento i cui scrisse col cuore quelle immortali parole.