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La stampa libera che non piace alle mafie – Incontro con Antonio Roccuzzo e Alberto Spampinato

“È l'informazione che non piace alla mafia. Perché è nel silenzio che questa può proliferare. La libertà di informazione o è libera oppure non esiste, non esiste giornalismo senza libertà”. Una platea di giovani venerdì pomeriggio si è ritrovata per parlare di informazione libera: quella che non piace alle mafie. L’occasione quella offerta dall'iniziativa organizzata da Libera, in collaborazione con il collettivo Nuntius, l'Associazione Stampa Umbra e la Rete degli Studenti Medi di Perugia, nella Casa dell'Associazionismo in via della Viola n.1 a Perugia. All'iniziativa hanno partecipato Antonio Roccuzzo, allievo di Giuseppe Fava e attualmente caporedattore a La7, e Alberto Spampinato, fratello di Giovanni, giornalista dell'Ansa e direttore di Ossigeno per l'informazione, osservatorio sui giornalisti minacciati in Italia.

L'iniziativa si è inserita nel percorso di riflessione intrapreso quest'anno da Libera Umbria con le ragazze e i ragazzi delle scuole superiori di Perugia (ai quali l'incontro era rivolto in modo particolare), in vista del prossimo 3 maggio, VI Giornata nazionale della memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo, che si celebrerà a Perugia. Nella giornata è stato proiettato il video realizzato dalla classe V E del liceo scientifico Galilei di Perugia, in ricordo di Pippo Fava. Il video parteciperà proprio al concorso riservato alle cuole in memoria del giornalista.

Antonio Roccuzzo ha spiegato come il giro d’affari della mafia sia quantificabile in quasi un decimo del Pil italiano: “La mafia è un'impresa che non uccide più ma compra. L'unica con liquidità in tempo di crisi. Trent'anni fa questa cosa l'ha detta Giuseppe Fava pochi giorni prima di essere ucciso. La mafia oggi non ammazza più i giornalisti perché oggi si comprano non c'è bisogno di ucciderli. Il problema per la mafia nasce quando ci sono ancora e sempre di più delle persone e dei professionisti che non si possono compare”. Ed è qui che si impone l’impegno: “I giornalisti devono fare di più per difendere i giornalisti minacciati, per essere solidali con loro, per fare vincere la liberà di informazione e il diritto dei cittadini di essere informati, è facendolo terranno viva la memoria dei loro colleghi che hanno difeso con la vita l’onore della professione; che non hanno arretrato davanti a minacce, rischi, pericoli per svolgere la missione sociale propria del giornalismo quale infrastruttura essenziale della democrazia. I giornalisti devono farlo per difendere sé stessi, la possibilità di fare il loro lavoro. Devono farlo immedesimandosi nelle storie dei giornalisti uccisi e nelle vicende dei giornalisti intimiditi in vario modo ai giorni nostri.

E poi un percorso nella memoria storica del nostro paese quello compiuto da Alberto Spampinato: Una società civile non può lasciare interamente ai familiari delle vittime ed ai loro amici più devoti la fatica, il peso, il dolore di ricordare quei nomi e quelli di altre vittime innocenti, fra i quali quelli dei giornalisti uccisi in Italia mentre facevano il loro lavoro. Nomi come quelli di Cosimo Cristina, Mauro De Mauro, Giovanni Spampinato, Mario Francese, Pippo Fava, Peppino Impastato, Beppe Alfano, Mauro Rostagno, Carlo Casalegno e Walter Tobagi, Giancarlo Siani, i giornalisti uccisi in Italia dalla criminalità organizzata e dal terrorismo. Otto sono stati uccisi in Sicilia. Siani a Napoli. Casalegno a Torino. Tobagi a Milano. E’ pesante ammettere che in Italia dal 1960 a 1993, insieme ad altre stragi che grondano sangue e sete di giustizia, è stata compiuta questa strage di giornalisti che non ha eguali in nessun Paese occidentale. E con i nomi che ho ricordato non ho tracciato il bilancio completo dell’ecatombe: bisogna aggiungere almeno altri sette nomi, di giornalisti italiani uccisi all’estero, mentre seguivano le missioni internazionali di peace-keaping in cui l’Italia si cimenta con altri paesi per risolvere gravi crisi, per promuovere la pace e la sicurezza al di là dei propri confini, o per documentare fatti oscuri dei paesi in cui si trovavano: Ilaria Alpi, Enzo Baldoni, Maria Grazia Cutuli, Italo Toni,Graziella De Palo, Antonio Russo, Vittorio Arrigoni. E’ pesante dire ai giovani di oggi che è stata compiuta questa carneficina di giornalisti. E’ pesante ma bisogna dirlo, spiegare perché ed insegnarlo nelle scuole”.

Appuntamento al 3 maggio: Ricordare l'esempio di chi ha pagato con la vita il desiderio di informare, di raccontare anche e soprattutto quello che è scomodo, quello che non si deve dire. Uomini e donne morti “sul campo”, quello dell'informazione. Uccisi perché scomodi, perché hanno saputo raccontare con immagini e parole quello che andava taciuto. E' a loro che l'Unione nazionale cronisti italiani dedica il 3 maggio, Giornata della memoria dei giornalisti uccisi da mafie e terrorismo. Un appuntamento itinerante che quest'anno, per la sesta edizione, fa tappa a Perugia. L'iniziativa, realizzata con Associazione stampa umbra, Ordine dei giornalisti dell'Umbria e Libera Umbria, si svolge nella sala del consiglio della Provincia di Perugia, in piazza Italia, appunto il 3 maggio, in concomitanza con la Giornata per la libertà dell’informazione decretata dall’Onu, partire dalle 10.