Primo giorno, venerdì, per il Festival Narni città Teatro (l’anteprima era andata in scena la sera del 4 giugno al Teatro Secci di Terni con lo spettacolo di Alessandro Bergonzoni “Arrivano i dunque”). Alle 19, nella suggestiva location dell’Ala Diruta nell’ex Refettorio Sant’Agostino di Narni in cui natura e architettura antica si fondono diventando un palcoscenico a cielo aperto, è andato in scena il concerto della Piccola Orchestra dei Popoli con Pietro Boscacci, Issei Watanabe, Renata Mezenov, Mira Zonja, Shinobu Kikuchi, Sever “Persic” Iancu, Arup Kanti, Ghazi Makhoul, Neslyan Yilmazel Duval, Diana Bettoja. Direttore artistico Ciro Menale.
E’ proprio quest’ultimo che introduce il concerto: “Siamo un’orchestra di 8 nazionalità su 9 persone e gli strumenti musicali provengono dalle barche dei migranti. Praticamente ci siamo dichiarati”. Le barche utilizzate per la tratta del Mediterraneo diventano corpo di reato, sequestrate e rottamate, così già nel 2021 l’Orchestra aveva chiesto alla Ministra Lamorgese la possibilità di recuperarle, concedendogli il nulla osta. Da dimora del disumano a strumenti musicali.
“E’ stato un azzardo!” così il regista Menale. Ma un azzardo duraturo, perché l’Orchestra nata nel 2013 richiama nomi da tutto il mondo: Piovani ha regalato alla Fondazione un brano “Canto del legno” eseguito dal primo violino, a Sting nel 2023 hanno regalato una chitarra, Riccardo Muti li ha diretti in uno “Stabat Mater” a Lampedusa facendo suonare gli strumenti ‘poveri’.
Due sono gli elementi base: il legno di scarto che diventa virtuoso, che trasporta gli “scartati” le persone trasportate in mare e le mani dei detenuti aiutati dai liutai nel Laboratorio di Liuteria e Falegnameria della Casa di Reclusione Milano-Opera che costruiscono gli strumenti musicali. Come diceva De Andrè “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
Dai canti tradizionali turchi e libanesi a quelli giapponesi, dalla poesia musicata di David Maria Turoldo al tango argentino e alle melodie balcaniche con una danzatrice a dare movimento in carne ed ossa alle musiche etniche e ritmate. Gli strumenti nati dal legno delle barche dei migranti di Lampedusa sono suonati da musicisti di tutto il mondo: Giappone, Italia, Romania, Albania, Cina, Russia con sonorità che parlano di migrazione e di tutto quello che comporta, che richiamano alla mente nostalgia di una casa lontana, ma anche di speranza, di diritto a emigrare per trovare una vita migliore, di gioia, di allegria. In un mix di melodie che arrivano da lontano.
In virtù di quanto scritto da Paolo Rumiz, ne “La memoria del legno” quanta memoria porta con sé il legno, anche quello dei barconi che approdano o cercano di approdare a Lampedusa, inizia così la storia dell’albero Azobè, che da legno prima abbandonato, diventa barca e poi violino. E da violino suona per i respinti, per i buttati in strada, chiede perdono agli aguzzini e ai ricattatori, ma anche agli indifferenti, a quelli che hanno dimenticato gli insegnamenti dei padri. Un canto e una melodia contro i catenacci che imprigionano i nostri cuori.
Più che un concerto è stato un viaggio, da memoria e rinascita ed è quello che si ripropone la stessa Orchestra che offre un tempo d’incontro con un’umanità possibile dove ogni nota racconta un mare che unisce e non divide. “In un mondo in cui tutto è separato il nostro tentativo è di ricordare che siamo un’unica umanità” conclude il direttore prima di lasciare spazio alla musica.
(Valentina Onori)